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Addio al bonus psicologo, la denuncia di Cancrini: «Emergenza segnalata mesi fa al governo, nessuno ha mai risposto» – L’intervista

05 Gennaio 2022 - 15:37 Giada Giorgi
«Sono disgustato e la notizia mi fa veramente male». Il professor Luigi Cancrini, fondatore di una delle più importanti scuole di psicoterapia in Italia, racconta di una battaglia «persa contro l'ignoranza». E aggiunge: «Decisione al limite del legale»

«Sono disgustato e la notizia mi fa veramente male». Il professor Luigi Cancrini, psicoterapeuta e psichiatra, fondatore del Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale, una delle più importanti scuole di psicoterapia in Italia, accoglie pazienti da 60 anni. Il perché della bocciatura al bonus psicologo da parte della Camera nell’ultima legge di bilancio non se la spiega proprio o forse sì. «Tutto questo si giustifica solo con una profonda ignoranza da parte dei nostri amministratori e della nostra classe politica», commenta raggiunto al telefono da Open poco prima di cominciare un’altra giornata al servizio di chi cerca aiuto.

Professore che significato ha questa bocciatura?

«Ha il peso di una decisione assurda e mi consenta di dire anche non molto “legale”. Dal 2018 abbiamo introdotto la psicoterapia tra i Livelli Essenziali di Assistenza. Questo vuol dire che il Paese ritiene la psicoterapia un diritto per tutti coloro che ne hanno bisogno. Al tempo stesso però continuiamo a non fornirla nei servizi che si occupano di salute mentale. Non ci sono gli operatori, né le professionalità, né la cultura da parte dei direttori dei servizi che permettano di corrispondere a un diritto del genere. E questa del bonus, mi permetto di ribadire, è una decisione fra virgolette illegale. Non si dovrebbe poter fare».

Il bonus sarebbe stato senza dubbio un aiuto. Ma saremmo stati davvero in grado di colmare le lacune di un intero sistema?

«Il problema legato al sostegno e alla cura del disagio mentale è sicuramente più ampio di quello che un bonus psicologo avrebbe potuto garantire. Chiaramente i servizi di psicologia e psichiatria vanno ripensati nel loro complesso. Aprire alla figura dello psicologo scolastico, a quello del neuropsichiatra infantile negli ospedali, a una rete territoriale in grado di prevenire l’aggravamento del disagio, sono tutti fronti primari di un’emergenza che è tale già da tanto, troppo tempo. Ma qui si parla di una battaglia nel conquistarsi l’essenziale e di un’emergenza che poche volte come in periodo di pandemia è riuscita a venire così a galla. Nel 2020 le iniziative di consulenza online gratis di psicoterapeuti sono state in molti casi salvifiche. Ho visto situazioni in cui, grazie a quel semplice servizio, si è cominciato a vedere uno spiraglio di luce negli occhi di adolescenti persi. Quelle quattro sedute sono state il punto di partenza di un lavoro che è andato poi avanti. Ed è inevitabilmente questo uno dei sensi fondamentali di un bonus psicologo. Facilitare l’incontro tra psicoterapeuti e pazienti, accorciare le distanze tra il disagio e la sua cura. Un aiuto come quello che è stato bocciato non avrebbe riempito tutte le lacune ma creato un urgente e fondamentale varco».

E lei questo varco ha cercato di aprirlo più volte.

«Nel lontano 2008 ho condotto in Parlamento una battaglia per il diritto alla psicoterapia. In Commissione Affari sociali c’era l’unanimità delle forze politiche. Poi cadde il governo Prodi e la cosa morì lì. Negli anni successivi altri parlamentari hanno riproposto il tema senza trovare strade concrete per portare avanti la cosa. Due anni fa, insieme ad Antonello d’Elia, responsabile di Psichiatria Democratica, ci siamo presentati davanti alla sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa per porle il problema. Nonostante la vicinanza espressa a parole, la forza politica per far venire fuori questo tema non è mai stata trovata. Ho riscritto a Zampa pochi mesi fa, nel pieno della pandemia per sollecitare azioni urgenti e anche per essere semplicemente ascoltati».

E che è successo?

«Sono passati sei mesi e non c’è stata nessuna risposta, che devo fare?».

Nel frattempo c’è chi continua a bussare alla sua porta e a chiedere aiuto.

«Per 40 anni mi sono occupato di giovani e di bambini immersi in situazioni di maltrattamento e di abuso domestico. Realtà disperate che l’isolamento da pandemia non ha fatto che acuire. In situazioni come queste la psicoterapia è davvero come acqua nel deserto. Senza psicoterapia il bambino o il ragazzo che vive condizioni di maltrattamento o abuso è destinato a una vita perduta. Il suo destino, se non viene curato, è quello di un grave disturbo di personalità o una ricaduta psichiatrica importante. Un bambino che viene abusato in casa a 6/7 anni come facciamo a non sottoporlo a psicoterapia? E la follia più assoluta è che attualmente il sostegno viene garantito in situazioni di eccezione e non di normalità».

Poi è arrivata la pandemia. Cosa è successo ai giovani in questi mesi?

«La salute mentale è la capacità di adattarsi alle situazioni e affrontare le difficoltà. Le persone che negli ultimi due anni di pandemia hanno bussato alla mia porta probabilmente avrebbero chiesto aiuto ugualmente ma hanno avuto modo di avvertire il proprio disagio in maniera più limpida e acuta a causa di isolamento e restrizioni. Rinchiusi, faccia a faccia con loro stessi, moltissimi giovani hanno avuto l’occasione di pensare a quello che della loro vita non stava andando. Di rendere più potenti le insicurezze, i dubbi, i disagi già presenti. Da lì depressione, autolesionismo, stati di fortissima ansia, disturbi del comportamento, dipendenze. In termini di capacità di adattamento psicologico alle situazioni, Covid-19 è stata senza dubbio una grossa prova per molti. Un tempo di emergenza che ha avuto il compito non di provocare disagi ma di rivelarli».

Un vaso di pandora che ormai sembra essersi scoperchiato. Eppure è ancora facile girarsi dall’altra parte.

«Una ventina di anni fa un importante centro di ricerca economico britannico portò avanti uno studio sui disturbi depressivi nella popolazione registrando un abbassamento del Pil di un punto. Non uno scherzo. Da quell’analisi, in Inghilterra, si studiò anche l’efficacia dei rimedi proposti per rispondere al problema: la conclusione fu che gli psicofarmaci, molto più costosi del bonus e della singola seduta, anche in Italia, non danno alcuna garanzia di efficacia. Al contrario succede con l’intervento psicoterapeutico. A quel punto il governo inglese stanziò una cifra importante per sostenere il diritto all’essere curati. I dati dell’emergenza sanitaria sulla salute mentale ci sono in abbondanza anche in Italia e da molti anni. L’unica regione che attualmente risulta avere messo in piedi un servizio di psicoterapia per giovanissimi è il Veneto. Da 5 anni esistono in ogni Asl servizi di psicoterapeuti che si occupano solo di problemi di disagio mentale nei bambini per esempio. Nel Lazio ero riuscito a convincere l’assessore alla Salute Alessio D’Amato e il presidente Zingaretti a fare la stessa cosa. Il lavoro cominciato a gennaio 2020 è stato poi bloccato dal Covid.

Parla di un servizio da garantire in tutte le regioni e in modo capillare. Abbiamo abbastanza risorse umane?

«A questo proposito voglio chiarire un punto fondamentale: non è vero che gli operatori non ci sono. Da quando la legge Ossicini degli anni ’70 ha riconosciuto la psicologia, di corsi universitari e di formazione ce ne sono stati tanti. Solo a Roma ci sono 5 corsi di laurea in psicologia. In Italia ci sono oltre 400 scuole di psicoterapia. Il Centro studi di terapia familiare e relazionale che dirigo ogni anno diploma un centinaio di nuovi psicoterapeuti e funziona così da 50 anni. Gli psicoterapeuti sono tantissimi. Il vero punto è che non sono assunti nei servizi pubblici se non con il contagocce. Quello che denuncio è una lentissima capacità della sanità pubblica di assorbire operatori che si occupino esclusivamente di psicoterapia in modo capillare su tutto il territorio nazionale. Nelle strutture pubbliche quello che si fa, ad esempio per i bambini, è un intervento di valutazione delle competenze cognitive: ma è un iter che serve per far partire la 104 o ottenere i Bisogni educativi speciali a scuola. Le valutazioni vengono fatte senza un organico di psicoterapeuti che davvero si occupino di quel ragazzino perché nel pieno di un disagio. Insomma lo si valuta ma non lo si cura».

Nel pubblico non ci sono e nel privato sono un lusso per pochi. Cosa fare?

«Tra le soluzioni presentate in questi anni c’è stata anche la proposta di di ricorrere a terapeuti privati con tariffe calmierate e con un aiuto quindi da parte del governo. Il grandissimo numero di psicoterapeuti che girano per il mondo attualmente possono occuparsi privatamente solo dei pazienti che possono pagare. La triste realtà è questa. Una realtà che si scontra con differenze sociali sempre più evidenti. Si pensi che le categorie ad aver diritto a un rimborso per le loro psicoterapie sono quelle dei dirigenti di impresa, dei parlamentari, dei giornalisti. L’onorevole può fare la psicoterapia per sé o per i suoi figli, stessa cosa per il manager. L’operaio no, lui deve pagare. Qui siamo di fronte a una sottovalutazione spaventosa. E il timore più grande è per gli anni che ci aspettano. Non a caso l’Oms ha definito quella della salute mentale la prossima emergenza sanitaria che ci colpirà».

Il disagio mentale sarà presto la nuova emergenza sanitaria dunque. Quali interventi anche dal punto di vista delle terapie serviranno?

«Vedo tanti pazienti che arrivano da strutture di psichiatria, anche pubbliche, in uno stato pessimo e non solo legato alla patologia di cui sono affetti. Sono persone indotte a prendere una quantità di farmaci che non solo costano quotidianamente molto di più di una seduta ma che spesso si rivelano inutili e anche dannosi. Ci sono giovani a cui viene rovinata la vita».

Da dove arriva quest’assistenza nociva? Cattiva diagnosi o cos’altro?

«Sono due le principali cause. Da un lato le case farmaceutiche, che hanno imposto sul mercato una enorme quantità di prodotti e che continuano a esercitare una pressione notevole. Dall’alto, ancora prima di questo aspetto, c’è la dimenticanza da parte di alcuni operatori di ciò che è in grado di fare la psicoterapia in quanto strumento di liberazione. Se una famiglia arriva con un paziente che non dorme, che ha brutti momenti e scatti di rabbia, la soluzione non può essere soltanto quella di dare farmaci per calmarlo, così da far contenta la famiglia. Due mesi dopo ci si ritroverà nella stessa situazione se non peggiore. Sono realtà che vanno risanificate e di cui ormai non riesco a parlare se non con grande rabbia».

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