Omicidio Varese, l’orrore sul corpo del figlio prima di ucciderlo e il vocale della vendetta alla moglie: Paitoni resta in carcere
«Mi hai rovinato la vita, il bambino è al sicuro, ti ho aggredita per punirti», questo l’ultimo messaggio vocale inviato da Davide Paitoni alla moglie, Silvia Gaggini, dopo averla ferita e soprattutto dopo aver ucciso il loro figlio, Daniele, 7 anni, assassinato nel Varesotto nel peggiore dei modi. Con uno straccio in gola e con del nastro adesivo sulla bocca. Secondo quanto emerso dall’autopsia, infatti, l’uomo, per timore di essere scoperto, avrebbe tappato la bocca del piccolo, per evitare che potesse gridare. Poi gli avrebbe tagliato la giugulare e infine avrebbe chiuso il suo corpicino nell’armadio dell’appartamento in cui si trovava ai domiciliari (poco tempo prima aveva colpito con un taglierino un collega di lavoro). Paitoni, quindi, viveva con il padre e quel giorno, era la fine dell’anno, ospitava il bambino. Ci si chiede, oggi, come sia stato possibile che un uomo, agli arresti domiciliari e con questi gravi precedenti (oltre a due denunce per maltrattamenti presentate dalla moglie e dai suoceri), potesse tenere con sé il figlio, a Capodanno, con il benestare di un magistrato. La ministra della Giustizia Marta Cartabia ha subito avviato un’ispezione al tribunale di Varese. Vuole far luce sul caso e andare fino in fondo.
«Voleva punire la moglie»
Intanto ieri, 4 gennaio, il gip ha convalidato il fermo per Paitoni, accusato di aver ucciso il figlio e di aver aggredito la moglie. Nell’interrogatorio l’uomo non ha proferito parola, è rimasto in silenzio perché «provato». L’accusa, pesantissima, è di omicidio e tentato omicidio aggravato per le coltellate inferte alla moglie, che per fortuna non sarebbe in pericolo di vita. L’aggravante contestata all’uomo, tra l’altro, è quella dei motivi abbietti, del legame familiare e della premeditazione. Secondo il giudice Paitone avrebbe agito per «punire la moglie», colpevole di aver troncato la loro relazione; nei confronti del figlio invece avrebbe agito con «crudeltà». I dettagli emersi sul modo in cui lo avrebbe ucciso sono raccapriccianti. Sul cadavere del bimbo, tra l’altro, ha lasciato una lettera, una sorta di ritorsione contro la moglie. Si sottolinea, tra l’altro, non solo la pericolosità sociale dell’uomo ma anche il fondato pericolo di fuga. «Sono qui, sparatemi», ha detto ai carabinieri che lo hanno trovato dopo un lungo inseguimento. Si era nascosto in un capanno di cacciatori.
Le motivazioni del Gip
Nel firmare l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, il Giudice per le indagini preliminari di Varese ha anche fornito delle motivazioni sul caso Paitoni, il cui scopo ultimo era quello di «punire» sua moglie per averlo lasciato da solo. L’omicidio è stato definito dal Gip «non prevedibile» dal momento che è stata la donna a portare il piccolo dal padre non temendo alcunché per la sua incolumità. «È bene partire da un dato che può apparire paradossale rispetto all’esito mortale nella casa di Morazzone – si legge nelle motivazioni per la conferma della custodia cautelare – è la madre che porta il figlio dal padre». E questo «è un gesto del tutto incompatibile con qualsiasi allarme che un precedente atteggiamento del padre avrebbe potuto destare nella donna». Per il giudice l’uomo avrebbe consapevolmente indotto molte persone dell’entourage a dargli credito, a fidarsi di lui. In primis la moglie «che gli porta il figlio sulla base di una determinazione che il minimo allarme o sentire di pericolo avrebbe potuto evitare». Va sottolineato infatti che non c’era «per lei alcun obbligo di consegna del figlio al padre, in assenza di provvedimento di separazione coniugale». Per comprendere meglio il quadro generale, nel documento del Gip si legge anche che «la coppia era in crisi, infatti erano stati incaricati degli avvocati», e che «la situazione sopravvenuta degli arresti domiciliari in altro procedimento penale, veniva gestita in accordo tra l’indagato e la moglie».
Il corto circuito giudiziario
Quello che al momento si sa del rapporto tra Paitone e la moglie è che i due si erano lasciati alla fine del 2019 ma che non ci sarebbe stato alcun provvedimento giudiziario sulla loro separazione. Le visite del bambino al padre erano state decise dagli avvocati dei due genitori anche perché il clima sembrava essere disteso. Da qui l’idea delle visite a giorni alterni anche in occasione delle vacanze di Natale. Il 26 novembre, però, l’uomo – che di professione è un magazziniere – aggredisce un collega, ferendolo gravemente al punto che la vittima finisce in rianimazione. Per il pm è tentato omicidio. L’uomo va subito ai domiciliari. Nel provvedimento, però, nessuno gli vieta di vedere il figlio nonostante le denunce per maltrattamenti presentate dalla donna e una persino dai genitori di lei contro il genero. A Paitoni viene contestato solo il pericolo di inquinamento probatorio, non la pericolosità sociale. Nell’ordinanza, tra l’altro, il giudice scrive che il pm evidenzia che l’uomo sarebbe «sottoposto ad altri procedimenti per reati anche connotati da violenza come maltrattamenti e lesioni» ma sempre lo stesso giudice precisa che si tratta di «carichi pendenti che potrebbero risolversi favorevolmente per l’indagato». Insomma, niente di così grave o che possa mettere in pericolo la moglie o il figlio. Così, quando il legale di Paitoni chiede che il suo assistito possa vedere il figlio, gli viene risposto di sì. Senza alcun problema. Aver aggredito un collega non influisce sul resto.
L’ispezione del ministero della Giustizia
Per il procuratore capo Daniela Borgonovo, però, il pm ha contestato a Paitone la pericolosità sociale «anche per le precedenti denunce» e il giudice «sapeva bene delle denunce per maltrattamenti». Il giudice per le indagini preliminari, dunque, «ha accolto la richiesta, peraltro ravvisando solo un rischio di inquinamento probatorio». Come scrive Il Mattino, il presidente del Tribunale Cesare Tacconi ha definito «regolare» il provvedimento del gip che consentiva le visite visto che gli arresti domiciliari non erano legati alla vicenda familiare precisando poi che «la richiesta del pm era motivata con il pericolo di inquinamento delle prove, non con la pericolosità sociale» e che «il giudice non può aggravare la richiesta del pm». Insomma un corto circuito giudiziario, peraltro di difficile comprensione, per il quale la ministra Marta Cartabia ha chiesto approfondimenti urgenti con l’ispettorato inviato «a svolgere i necessari accertamenti preliminari sul caso». Venerdì i funerali del piccolo.
Foto in copertina: FACEBOOK/DAVIDE PAITONE
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