Il buco nero dei social nella galassia Trump. Ecco perché i “rinnegati” hanno bisogno di Twitter e Facebook
Una mascherina di stoffa con ricamata sopra una scritta: «Censored». È questa l’ultima immagine con cui la deputata repubblicana Marjorie Taylor Greene è stata ricordata sui social network dopo che Twitter ha deciso di condannarla all’ergastolo digitale, il permaban. La deputata non potrà più comparire sulla piattaforma con un account personale, anche se la sentenza è limata dal fatto che le rimane ancora l’account istituzionale. Il provvedimento è simile a quello emesso nei confronti di Donald Trump dopo l’assalto a Capitol Hill avvenuto un anno fa, il 6 gennaio 2021. Greene ha rassicurato i suoi elettori spiegando che potranno continuare a seguirla su Gettr, il social network che sembra essere la nuova terra promessa per chi non è più ben accetto su Twitter e Facebook. La deputata repubblicana segue la scia di personaggi del calibro di Joe Rogan e il No vax Robert Malone. Il recente ban di quest’ultimo, erroneamente definito «Premio Nobel Melon» da Massimo Cacciari, aveva convinto Joe Rogan a promuovere una migrazione da Twitter a Gettr ai suoi 7,9 milioni di follower. A oggi, l’account del conduttore e comico americano nel social trumpiano, dove risulta iscritto da gennaio 2022, conta 8,6 milioni di follower grazie a un trucco: vengono contati anche quelli di Twitter senza che questi ultimi siano effettivamente collegati a Gettr. Al momento invece la deputata Greene è arrivata a oltre 593 mila follower, sempre sfruttando lo stesso meccanismo.
Fondato da Jason Miller, ex assistente di Trump, e lanciato nel 1° luglio del 2021, Gettr è l’ennesimo tentativo della destra trumpiana di trovare una nuova casa dopo il cambio di rotta dei social nati nella Silicon Valley. Facebook e Twitter infatti hanno contribuito alla fortuna politica dell’ex presidente, sia durante la campagna elettorale che per larga parte del suo mandato. Prima di essere oscurato, il suo account Twitter era arrivato a 88,7 milioni di follower. Un risultato raggiunto con un’attività quasi febbrile: solo da luglio del 2020 a gennaio 2021 l’account @realDonaldTrump aveva prodotto 5.993 tweet arrivando a una media di 34,8 al giorno. Una produzione forsennata che non ha più trovato repliche, nemmeno nei social che sono stati costruiti apposta per dare una nuova voce al 45° Presidente degli Stati Uniti d’America.
In principio fu Parler
All’inizio, l’alternativa migliore sembrava Parler. Già nel nel novembre del 2020 sia Trump che i suoi sostenitori avevano scelto questa piattaforma come rifugio dalle politiche della Silicon Valley. Prima di arrivare ai permaban, sia Twitter che Facebook avevano cominciato a segnalare alcuni contenuti del presidente etichettandoli come fake news o incitazioni all’odio. Sia dal punto di vista grafico che da quello tecnico, la piattaforma era simile a Twitter, come tutte quelle che citeremo in questo articolo. Dopo qualche milione di utente, Parler ha subito un colpo da cui non si è più ripresa. A causa dei contenuti violenti circolati dopo l’attacco di Capitol Hill e delle minacce che stavano arrivando per l’insediamento del nuovo presidente Joe Biden, Google e Apple hanno deciso di eliminarla dai loro store. Amazon invece ha chiuso i rubinetti dei server a cui il social si appoggiava. Ora Parler ha trovato nuove case ed esiste ancora, ma ormai gli iscritti sono pochissimi. Se ne parla poco e anche Trump ha deciso di abbandonarla.
Gab, il social fondato da @a
Passata l’ebrezza di Parler, i rinnegati dei social statunitensi hanno cominciato a guardare Gab. Qui l’interfaccia è più raffinata e pur partendo da una struttura simile a Twitter ci sono più funzioni, ad esempio la possibilità di creare gruppi di utenti. Nel 2018 il fondatore Andrew Torba aveva spiegato in un’intervista a BuzzFeed che questo social era nato per favorire la libertà delle idee e non avrebbe sostenuto nessun gruppo politico. Le idee da favorire sono però abbastanza chiare dal suo stesso profilo, in cui si definisce «soldato servo di Gesù Cristo, il Re dei Re». Se cercate fra gli utenti lo troverete come @a. Dopo che la app è stata bannata dagli store digitali anche prima di Parler, gli sviluppatori di Gab hanno tentato di aggirare il problema distribuendo un Apk, un file che permette l’installazione su smartphone senza passare dalle verifiche dei sistemi operativi. Non abbastanza per raggiungere una buona base utenti. Su Gab Donald Trump ha un suo profilo ufficiale, il nome è lo stesso del suo storico account Twitter, @realdonaldtrump, ma i follower sono molti meno: solo 2,2 milioni. L’ultimo post (tra l’altro contro Twitter) ha totalizzato 6.954 like, 1.312 commenti e 1.911 repost. Nulla in confronto al passato.
Gettr e l’importanza degli store digitali
E allora che senso ha aprire un altro social network? La domanda al lancio di Gettr sarebbe stata legittima. Gli ex elettori di Trump sembra abbiano abbastanza luoghi virtuali per esprimere le loro idee senza passare dai filtri della Silicon Valley. Il problema è che l’odiata industria del digitale made in California è necessaria per il sostentamento di questi spazi. Al momento Gettr è l’unica piattaforma che non è stata (ancora) cancellata dagli store di Google e Apple. Nel Play Store l’app ha anche un ottimo rating, con 4,7 punti su 5 e quasi 39 mila recensioni. Il profilo ufficiale di Trump non è ancora pervenuto. Nelle ultime settimane sono arrivati anche i commenti degli italiani: «Ottimo sostituto di Twitter (divenuto ormai di chiara matrice politica comunista), ma con piena libertà di espressione, di pensiero e di opinione, senza censure politiche. Lo consiglio vivamente a chi ama la libertà!», scrive uno degli ultimi. La sfida però è tutta sul sostentamento. Anche se i politici appena arrivati hanno già collezionato un buon bacino di follower, le interazioni sono ancora basse. La sensazione è che creare un social in cui tutti hanno le stesse idee non funzioni molto. C’è bisogno di qualcuno da odiare.
Il naturale ruolo di Telegram
Negli ultimi due anni c’è stata una piattaforma capace di conquistare sempre più smartphone. La sesta app più scaricata nel 2021 è stata Telegram. Ad agosto ha raggiunto un miliardo di download. La possibilità di creare canali e gruppi, l’anonimato, la mancanza di mediazione e anche la resistenza a collaborare con governi e forze dell’ordine hanno reso questo luogo digitale un rifugio per complottisti e hater seriali. In Italia abbiamo visto tutti questi meccanismi con il movimento No vax, tra Green pass falsi, campagne d’odio organizzate e minacce verso medici, giornalisti e politici. Negli Stati Uniti non è molto diverso. Il gruppo di We The Pepe, uno dei simboli della destra trumpiana, ha al momento quasi 77 mila iscritti. L’ultimo post celebra la trovata di Novak Djokovic per partecipare agli Australian Open senza fare il vaccino. Qui sono nati e fioriti tutti i gruppi che hanno sostenuto le teorie QAnon e qui ha il suo canale ufficiale anche Donald Trump jr, il figlio dell’ex presidente che su Telegram vanta 890 mila iscritti. Anche in questo caso fioriscono i post sulle teorie complottiste che hanno come protagonista il Covid e quelli contro i social network della Silicon Valley.
Il legame con la Silicon Valley
Ci sono due motivi per cui tutti i tentativi di creare un social network alternativo a Facebook o Twitter sono falliti. Il primo è la base di utenza. La presenza sul Play Store e App Store permette a chiunque di scaricare l’app e creare un profilo. Andare a cercare l’Apk e installarla è un’operazione semplice ma non alla portata di qualsiasi utente. Rimanere fuori dal circuito della Silicon Valley condanna tutti questi progetti all’inconsistenza. Il secondo motivo è più banale. Su Facebook e Twitter si parla anche di politica, ma non solo. Ci sono contenuti legati allo sport, alla musica, al cinema e all’intrattenimento. Prendiamo solo l’Italia: in base a una ricerca Audiweb nel dicembre 2020 il tempo medio trascorso dagli italiani su Facebook è stato di 12 ore a persona. Quando ci si stanca di cercare notizie si possono controllare le attività degli amici o ridere su qualche pagina di meme. I social dell’universo pro Trump invece sono monografici e dominati da temi politici, un ambiente che può attrarre solo i sostenitori più accaniti.
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