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Rientro a scuola, il preside minacciato dai No vax: «Da sempre contrari alla Dad ma stavolta ci arrendiamo» – L’intervista

06 Gennaio 2022 - 18:36 Giada Giorgi
Mesi fa un foglio A4 con sopra un proiettile fu lasciato davanti al suo ufficio in risposta al suo appello pro obbligo vaccinale. Oggi insieme a più di 1.600 presidi, il dirigente Vincenzo Caico chiede al governo almeno due settimane di didattica a distanza

Nel settembre 2020 fece di tutto per portare di nuovo gli studenti nelle aule. Un anno dopo a bussare alla porta del suo ufficio da preside è stato un foglio A4 accompagnato da un proiettile di pistola. La minaccia era in risposta all’appello che il professore aveva fatto a favore dell’obbligo vaccinale esteso a docenti e operatori scolastici. Vincenzo Caico è dirigente dell’istituto Michelangelo Buonarroti di Monfalcone, in provincia di Gorizia. In una delle regioni più colpite dai contagi, da sempre paladino della didattica in presenza, oggi, insieme a più di 1.600 presidi sparsi in tutta Italia, si arrende e chiede con forza la partenza del 2022 in Dad. «Per almeno due settimane, non c’è alternativa», dice. Un segnale forte di come le condizioni di sicurezza su cui il governo continua a rassicurare non siano quelle percepite da chi è sul campo. Mentre il conto alla rovescia per la riapertura in presenza si accorcia sempre di più, un folto gruppo di presidi scrive al governo e implora per una «riflessione realistica sulle riaperture».

Preside, dopo molte battaglie per una scuola in classe, il suo appello a favore di una didattica a distanza fatto proprio ora è significativo. Siamo davvero messi così male?

«Siamo preoccupati. Il primo problema è che non abbiamo gli insegnanti che accoglieranno i bambini e i ragazzi. Sono in quarantena o sono stati sospesi perché non hanno adempiuto all’obbligo vaccinale».

Non c’è come sostituirli?

«In così poco tempo no. Ci sono scuole in cui su un totale di 150 docenti mancano all’appello oltre 35 nomi che si ostinano a rifiutare la vaccinazione o sono in quarantena. La sostituzione in questi casi è difficilissima. Sia nelle materie di base, matematica e italiano, sia in quelle più specifiche negli istituti tecnici. Lì trovare docenti specializzati è un’impresa. Molte scuole, soprattutto Istituti comprensivi, saranno costrette ad iniziare con un orario ridotto. Non riusciamo a garantire lo svolgimento del numero regolare di ore di lezione».

Cos’altro vi impaurisce?

«C’è un enorme problema di sicurezza. Non facciamo valutazioni di carattere scientifico ma abbiamo chiaramente visto già prima delle vacanze natalizie un numero molto alto di contagi tra gli studenti, difficile da gestire. Ora siamo nel pieno dell’ondata, prevediamo una situazione ancora più complessa nei prossimi giorni. A questo proposito ci sono alcuni punti del nuovo decreto Covid del tutto impraticabili, soprattutto riguardo al tracciamento. Le Asl con cui abbiamo un rapporto ormai quotidiano sono in grossa difficoltà a fare tamponi e tracciare contatti. Quando si registrano uno o due contatti positivi in una classe bisogna avviare l’attività di testing che però non è immediata. Passano giorni prima che le Asl riescano ad organizzare i tamponi per tutta la classe. Altri ancora prima che i risultati arrivino, più di quelli previsti. Per cui, di fatto, noi una didattica a distanza a macchia di leopardo siamo costretti a farla comunque. Nel mio Istituto, su 34 classi, prima del periodo natalizio, registravamo una media di 4/5 classi al giorno in Dad. Con i picchi di questi giorni cosa dobbiamo aspettarci?».

Sembrerebbe a tutti gli effetti una falsa partenza.

«Lo è. Ribadisco la necessità di far tornare i ragazzi a scuola e sono il primo ad essersi battuto in questi mesi affinché le condizioni ci fossero. Ma ora è troppo. Oggettivamente si stanno accumulando tante di quelle incombenze che il disagio e il rischio sono molto elevati. Ecco perché sarebbe meglio partire con almeno due settimane di Dad, il tempo di sostituire quantomeno il personale assente».

Qualcuno ha già parlato di una chiamata alle armi dei laureandi.

«Sì e in parte stiamo già cercando di farlo, soprattutto qui al Nord. In molte classi di matematica e italiano da noi ci sono anche neolaureati».

Qual è l’appello al governo?

«Di mettere da parte gli annunci e di pensare a un vero ritorno in presenza con vere condizioni. Tornare e fare due tre ore di lezione al giorno, o forse nessuna quando le classi finiranno una dopo l’altra in quarantena non è una soluzione. Riaprire adesso nel momento di massima diffusione del contagio e in condizioni di precarietà non è la scelta giusta».

Si sta sottovalutando il problema o si conosce poco la realtà?

«Si ha paura che il popolo percepisca certe decisioni come una sconfitta. C’è il piano della mediazione politica e poi c’è il piano della realtà. E continuano a non coincidere».

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