I positivi asintomatici dividono governo, esperti e Regioni: «Ma è sbagliato nascondere il contagio»
Non sono finiti in ospedale a causa di Covid-19 ma risultano positivi. Soffrono di altre patologie ma rientrano nel bollettino dei ricoverati a causa del virus. È la carica degli asintomatici positivi, nelle ultime ore al centro del dibattito di esperti e governo e protagonisti di un giallo risolto a metà. La decisione (per ora) è presa, il conteggio del bollettino giornaliero rimane invariata. Ma la questione continua a dividere. L’idea circolata era quella di eliminare dal monitoraggio nazionale, a partire da febbraio, il dato dei ricoverati positivi ma non entrati in ospedale a causa della Covid. Per alcuni una strada per fare ulteriore chiarezza sui dati effettivi dell’emergenza attuale, per altri solo un modo da parte delle Regioni di sfuggire alle restrizioni delle fasce colorate.
Il giallo della circolare
La circolare ministeriale trapelata nelle ultime ore aveva reso quasi ufficiale la decisione: da febbraio il bollettino avrebbe contenuto un nuovo campo riguardante tutti i pazienti Covid ricoverati in ospedale per cause diverse dal virus e contagiatisi successivamente. Mentre la definizione di caso Covid sarebbe invece rimasta invariata: i pazienti positivi ricoverati, anche asintomatici, sarebbero rimasti un gruppo da tracciare e comunicare ai sistemi di sorveglianza. Ma il ministro Speranza si è affrettato a smentire tutto: nessuna circolare, nessuna decisione. Solo, a quanto pare, indiscrezioni di stampa su un documento che, seppur smentito, è esistito. Nonostante i “no” del ministro della Salute, sugli asintomatici il governo ha discusso eccome. L’ulteriore prova è stata la decisione di chiedere ufficialmente il parere del Comitato tecnico scientifico. Generalmente chiamato in causa quando, per una decisione politica imminente da prendere, si cerca una conferma di efficacia e sicurezza anche dal punto di vista tecnico.
Riunitosi il 14 gennaio, il Cts ha espresso lo stesso verdetto che l’Istituto superiore di sanità aveva diffuso qualche ora prima dando una propria opinione sulla questione: «La maggior parte delle infezioni, in particolare nei vaccinati, decorre in maniera asintomatica o con sintomi molto sfumati. Non sorvegliare questi casi limiterebbe la capacità di identificare le varianti, le loro caratteristiche e non potremmo conoscere lo stato clinico che consegue all’infezione nelle diverse popolazioni. Inoltre non renderebbe possibile monitorare l’andamento della circolazione del virus nel tempo». Ma all’interno del Cts c’è chi rimane di una posizione contraria. Fabio Ciciliano, uno dei componenti del Comitato fin dai primissimi mesi di emergenza sanitaria, crede ancora che lo scorporo avrebbe garantito una maggiore chiarezza.
Intervistato dal Corriere, ribadisce prima di ogni cosa quanto il numero attuale di ricoveri sia ridotto rispetto alla prima ondata e quanto questo dato sia merito dei vaccini. Sulla questione dei positivi asintomatici ricoverati non a causa del virus spiega: «L’importante è la chiarezza delle informazioni. Il monitoraggio clinico che distingue i pazienti affetti da Covid-19, che è la malattia causata dal SarsCoV-2, da quelli affetti da altre patologie e che risultano positivi al Sars-CoV-2 può essere un ulteriore dato fondamentale. Consentirebbe, in questa fase della pandemia, di scremare ulteriormente i numeri». Un aiuto a a capire meglio che per il momento il Comitato di cui fa parte, insieme alle massime cariche scientifiche vicine al governo, hanno preferito non prendere in considerazione per i motivi suddetti.
L’ansia da bollettino
Al contrario di quanto deciso anche sull’idea di un bollettino settimanale e non più giornaliero, (bocciata anche questa), Ciciliano sembra essere più aperturista: «Certo non modificherebbe certamente le cose ma potrebbe avere il vantaggio di evitare il martellamento quotidiano che si è rivelato particolarmente pesante dal punto di vista emotivo sulla popolazione sfiancata da due anni di pandemia. Anche la sensazione di insicurezza può influire negativamente sul ritorno alla normalità». Per ora però nulla di fatto. La composizione del monitoraggio non si tocca con il sospiro di sollievo della maggioranza degli esperti. Proprio a Open anche Fabrizio Pregliasco, così come giorni addietro il direttore del dipartimento di Fisica del Cnr Corrado Spinella, ribadivano quanto sia importante «soprattutto in una fase ancora espansiva del virus come questa non nascondere nulla» e garantire a istituti di ricerca e di calcolo come il Cnr di poter basare i loro modelli matematici e relative previsioni «su dati costanti e aggiornati a stretto raggio».
La carica degli asintomatici mette in crisi gli ospedali
Il punto non sta tanto nel distinguerli o meno nel bollettino giornaliero. «Il vero problema è capire come riuscire a gestire questi pazienti negli ospedali sempre più oberati». A centrare ulteriormente la questione è il presidente della Federazione dei medici internisti ospedalieri (Fadoi) Dario Manfellotto. «L’impatto sulle strutture sanitarie di un malato con un’altra patologia e scoperto positivo al Coronavirus è comunque devastante», spiega a Repubblica. «L’iter è articolato. Facciamo i controlli periodici dei ricoverati e chi resta una settimana affronta anche tre tamponi molecolari. Se risulta positivo, anche se del tutto asintomatico, e ha bisogno dell’assistenza ospedaliera perché magari ha una colica, deve essere isolato. Poi bisogna anche valutare se nel suo caso sia giusto fare i monoclonali. Se nell’ospedale c’è un reparto Covid, si trasferisce», continua Manfellotto.
E se il reparto Covid non c’è «va spostato in un altro ospedale che ne è dotato, se ha la disponibilità, cosa al momento molto difficile». Il presidente Fadoi descrive le implicazioni di un contagiato asintomatico ricoverato per altre tipologie ma comunque positivo anche sugli operatori sanitari: «Va creata una “zona filtro” per il personale, che impiega molto più tempo a svolgere le attività assistenziali. Tra vestizione e svestizione vanno via 30-40 minuti e poi va fatta la visita. I tempi lunghissimi compromettono la qualità dell’assistenza ai pazienti non Covid. Ci vorrebbe più personale, ma adesso è quasi impossibile averlo». E poi ancora l’organizzazione per l’isolamento in corsia. «Lì tutto dipende da come sono le stanze. Se sono da due, quando trovi un positivo fai i test anche all’altro ricoverato nello stesso ambiente. Dopo qualche giorno potrebbe positivizzarsi. Se però la stanza ospita un numero di pazienti superiore, le cose diventano ancora più complicate. In generale, visto che il positivo deve stare da solo in una stanza, si può ridurre di molto la capacità del reparto».
Un problema (non) risolto
Insomma, conteggio o non conteggio, ricovero a causa del virus o meno, il gruppo di persone che arriva in ospedale e si contagia non crea certo meno pressioni alle strutture che devono prendersene cura. «Al di là dei dati, che hanno a che fare con i colori delle Regioni, i ricoverati per altri motivi ma poi scoperti positivi al coronavirus hanno comunque un grande impatto sull’organizzazione e quindi sugli altri pazienti. La prova di questo», conclude Manferlotto, «è che le stesse Regioni sono state costrette negli ultimi giorni a sospendere l’attività di elezione, cioè i ricoveri, e gli interventi chirurgici programmati e non che non siano strettamente urgenti».
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