Suicidio assistito, la storia di Antonio: tetraplegico da 8 anni, chiede la dolce morte. Oggi il tribunale decide
Antonio ha chiesto di poter morire. Tetraplegico da quando otto anni fa ebbe un incidente in moto, nel settembre 2020 ha fatto richiesta all’azienda sanitaria della sua regione, le Marche, di poter far ricorso al suicidio assistito. Abituato come era alla sua vita movimentata tra viaggi, moto, sport, amici e famiglia, Antonio, 44 anni, non riesce a sopportare di «sopravvivere» in queste condizioni, essendo obbligato a chiedere aiuto per ogni semplice gesto, «come bere un bicchier d’acqua o vestirmi». «Prima non avevo bisogno di nessuno e di niente – racconta a Repubblica – facevo tutto da me. Lavoravo, avevo degli hobby, mi divertivo con gli amici. Oggi chiedo il suicidio assistito perché sono in una condizione per me inaccettabile. Questa è la cosa che mi fa più male: non essere più autonomo, io che sono sempre stato libero di fare quello che volevo». Oggi per Antonio è un giorno importante: il tribunale di Ancona dovrà decidere se imporre alla Asur Marche di effettuare su di lui tutte le visite mediche e tutte le verifiche necessarie indicate dalla Corte costituzionale per poter accedere al suicidio assistito.
I parametri stabiliti dalla Consulta sono chiari, e sono assimilabili al caso di Fabiano Antoniani (dj Fabo), accompagnato da Marco Cappato – poi assolto – a morire in Svizzera. Il soggetto che fa richiesta di suicidio assistito deve essere affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili. Deve essere tenuto in vita con trattamenti di sostegno vitale, e al tempo stesso restare capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Il caso di Antonio (nome di fantasia) è del tutto simile a quello di Mario, tetraplegico da 10 anni che lo scorso novembre aveva potuto festeggiare il via libera da parte del comitato etico della Asur Marche di Ancona alla sua richiesta di accedere al suicidio assistito. Salvo poi veder arenata tutta la procedura, dal momento che, di fronte a uno scarico di responsabilità, non è ancora stata fatta la scelta sul farmaco letale al quale ricorrere.
Il Covid
Antonio ha chiesto di poter accedere a questa dolce morte. E più volte ha desiderato di poter chiudere gli occhi per sempre circondato dall’affetto dei propri cari. Ma ora, a una situazione già di per sé fortemente drammatica, si è aggiunta la beffa del Coronavirus. Antonio ne è stato infettato e ora è ricoverato in terapia intensiva, e rischia di dover morire da solo, lontano dall’ultimo saluto di familiari e amici. «Provo disagio e tristezza. Ho dolori alla schiena e alle spalle, al sedere, stando sempre nella stessa posizione. Le cure palliative — racconta Antonio — non voglio nemmeno provarle, mi alleggerirebbero il dolore fisico ma quello mentale no».
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