Quirinale, Letta telefona ad Amato: all’ombra dell’intesa su Draghi, avanza il piano B del giurista
Dopo giorni di trattative felpate, Enrico Letta ha ingranato la marcia dei confronti bilaterali con gli omologhi di forze rivali per definire al più presto una strategia alternativa a quella di Mario Draghi. Il piano B che non può mancare in partite decisive come quella del Colle. Prima un caffè nell’ufficio del suo carissimo nemico Matteo Renzi. Poi i contatti con l’altro Matteo, quello che dalla segreteria della Lega ha lanciato invettive durissime al capo del Nazareno. Nei colloqui odierni, i convitati di pietra sono i nomi di Mario Draghi e Silvio Berlusconi. Il primo, che non ha fatto nulla per smentire le sue ambizioni quirinalizie e che è rischiosissimo da bruciare, prima o durante gli scrutini. Il secondo che è diventato (di nuovo) imprevedibile. Se la presidenza della Repubblica non può essere sua, nessuno del centrodestra potrà averla. Men che meno Pier Ferdinando Casini, considerato alla stregua di un traditore.
La dinamica Amato
In questo scenario, Open ha saputo di un colloquio telefonico avvenuto tra Giuliano Amato e Letta il 20 gennaio. Il giorno prima dell’accelerazione che il segretario dei Dem ha impresso alle negoziazioni. Che all’ombra della proposta Draghi, con i due Matteo, stia sondando una possibile candidatura del giurista? «Sì», conferma perentorio una fonte autorevole della Lega. Un esponente del gruppo parlamentare del Pd invita a seguire «le dinamiche» complessive perché, in questo momento, «sono favorevoli ad Amato e il suo nome è tornato a circolare». E allora lo schema, la dinamica propizia al vicepresidente della Corte costituzionale è questa qui. Amato, la mattina del 28 gennaio – giorno in cui cadrebbe il quinto scrutinio – dovrebbe essere eletto presidente della Consulta, che si trova a poche decine di metri dal Palazzo del Quirinale. La proclamazione della quinta carica dello Stato la mattina e la sua promozione a presidente della Repubblica, prima carica, il pomeriggio, potrebbe essere una buona giustificazione pubblica per far ricadere la scelta su Amato.
Lo schema Berlusconi
Ma questo è solo un fortuito incrocio di date da spendersi a livello comunicativo. La realtà è che il calendario così posto, ovvero quello che fa ricadere il quarto scrutinio – in cui basta la maggioranza assoluta dei grandi elettori -, il 27 gennaio, dovrebbe far scoprire ai partiti le carte. Dopo uno scrutinio di assestamento, per contarsi magari attraverso qualche nome da bruciare, il 28 gennaio potrebbe essere il giorno decisivo per far comparire sulle schede il cognome Amato. La coincidenza calendaristica, però, è la dinamica più leggera. Lo schema Berlusconi, invece, è la prova della fattibilità del piano. Già perché in questo momento delle trattative qualsiasi nome deve passare dal lasciapassare del Cavaliere, il quale tiene le redini della coalizione del centrodestra. Dopo il riscontro dei numeri insufficienti per una sua elezione, dovrebbe essere lui a dare il via libera ad Amato. Ed è un presidente che a Berlusconi andrebbe bene per un ragionamento semplice – se non posso essere io il presidente del centrodestra, non lo sarà nessun altro esponente – e un ragionamento storico.
Il precedente del 2013
Nel 2013, il Popolo della Libertà aveva mostrato gradimento per la proposta di Amato come successore di Giorgio Napolitano, nell’alveo di un accordo con Pd e Scelta civica. Nel 2015, di nuovo, sotto l’egida del Patto del Nazareno Berlusconi aveva approvato il nome di Amato. «Eravamo d’accordo sul nome di Giuliano Amato per il Quirinale – disse -, ma Renzi di colpo aveva cambiato idea e scelto Mattarella mettendomi in condizione di inferiorità». Il pallettaro – così si fa chiamare Amato per le sue skill tennistiche -, sarebbe il candidato più facile da intestarsi per Berlusconi, che già lo volle pubblicamente presidente della Repubblica. Il salvatore della patria in un momento di difficoltà per il Paese: gli resterebbe questo onore dall’esito dello spoglio alla Camera. Mentre Draghi resta la croce e la delizia di cui tutti si spartiscono i meriti se le cose vanno bene, ma che tutti hanno difficoltà ad affrontare quando dopo un anno di commissariamento, la politica partitica vuole riprendersi la sua porzione di potere. Partendo dal Colle più alto.
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