Il Cdm approva la riforma della Giustizia. Cosa prevede la bozza Cartabia
Il Consiglio dei ministri, durato circa un’ora e mezza, ha approvato all’unanimità la riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario con le norme sullo stop alle porte girevoli. Prima del Cdm si era tenuta una riunione tra il premier e i capidelegazione: il premier Mario Draghi aveva voluto riunire i rappresentanti della maggioranza, insieme alla ministra Marta Cartabia, per superare i dubbi dei partiti sulle proposte di riforma del Csm. Forza Italia poco prima aveva chiesto un ulteriore rinvio del Consiglio dei ministri. Poi aveva espresso forti perplessità annunciando che, in mancanza di approfondimenti, non avrebbe votato la riforma.
«Non possiamo accettare di votare testi senza prima una presentazione e un approfondimento concreto. Per Forza Italia ci sono dei punti imprescindibili che devono essere all’interno della riforma: la separazione delle carriere, il divieto del rientro in magistratura per chi ha ricoperto cariche politiche e un sistema elettorale maggioritario per il Csm. Seppur il tema sia importante e urgente non possiamo permetterci di trattarlo con leggerezza. L’improvvisazione non appartiene a Forza Italia: siamo, quindi, pronti a lavorare e impegnarci al massimo nel bene della comunità per evitare l’ennesima riforma da dare in pasto ai cittadini che sono stanchi di decisioni di posa». A dirlo era stato il senatore forzista, Massimo Mallegni.
Cosa dice la bozza della riforma
La riforma prevede che i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari che hanno svolto incarichi apicali nei ministeri o incarichi di governo non elettivi (capi di gabinetto, segretari generali presso i ministeri o ai capi dipartimento), al termine di queste esperienze, non possano svolgere funzioni giurisdizionali per tre anni. La loro destinazione sarà individuata dai rispettivi organi di autogoverno. La stessa disciplina si applicherà ai magistrati che si sono candidati in politica ma non sono stati eletti.
La bozza dice anche che i magistrati, che hanno ricoperto cariche politiche elettive (da parlamentare nazionale ed europeo, consigliere e presidente di giunta regionale, a consigliere comunale e sindaco), al termine del mandato siano «collocati in posizione di fuori ruolo presso il ministero di appartenenza oppure, per i magistrati amministrativi e contabili, presso la presidenza del Consiglio dei ministri, ovvero siano destinati allo svolgimento di attività non direttamente giurisdizionali, né giudicanti né requirenti».
C’è anche una stretta sui magistrati fuori ruolo, quelli cioè distaccati nei ministeri o nelle istituzioni. Prevista la riduzione del numero massimo, oggi fissato in 200. La durata massima del collocamento fuori ruolo è fissata in 10 anni, così come si richiedono 10 anni di effettivo esercizio delle funzioni giurisdizionali prima di poter chiedere di essere “prestati” a ministeri e istituzioni. Si introduce il voto degli avvocati nei Consigli giudiziari sulle valutazioni di professionalità dei magistrati stessi ma solo quando il consiglio dell’Ordine abbia fatto una segnalazione formale di comportamenti scorretti da parte del magistrato che si deve valutare. In questi casi il voto degli avvocati nei Consigli giudiziari sarà unitario.
Nell’esame del magistrato verrà valutata, tra l’altro, la «tenuta dei provvedimenti giurisdizionali» con l’acquisizione, a campione, della documentazione necessaria per accertare l’esito dei procedimenti nelle successive fasi di giudizio. Dovranno stare in aspettativa e senza assegni, invece, i magistrati che si candidano in politica (e lo faranno per l’intero periodo di svolgimento del mandato). Conserveranno comunque il posto.
Non sarà consentito cumulare il trattamento economico con l’indennità prevista per la carica. Stop, inoltre, alle nomine a pacchetto, terreno su cui spesso scattano gli accordi spartitori tra le varie correnti della magistratura. Da qui l’idea di rendere obbligatoria la definizione delle nomine in base al calendario. Previste deroghe per gravi e giustificati motivi. Nella scelta si considereranno soprattutto le capacità organizzative dei candidati, mentre l’anzianità dovrà essere semplicemente un criterio residuale. Se i candidati avranno gli stessi requisiti di merito, andranno valorizzate sempre le pari opportunità.
Non potranno fare parte della commissione per gli incarichi direttivi i componenti della Sezione disciplinare. Nella segreteria e nell’ufficio studi del Csm, finora composti esclusivamente da magistrati, potranno entrare, rigorosamente con concorso, avvocati, professori universitari e dirigenti amministrativi.
L’elezione del Csm
Per l’elezione del Csm è previsto un sistema elettorale misto, basato su collegi binominali, che eleggono cioè ciascuno due componenti del Csm ma che prevede anche una distribuzione proporzionale di 5 seggi a livello nazionale. Non sono previste liste ma candidature individuali. I componenti del Csm tornano come in passato a 30: 20 togati e 10 laici. Trova spazio anche il sorteggio che servirà ad assicurare che, in ogni collegio binominale, sia raggiunto il minimo di 6 candidati. Servirà a riequilibrare, tra l’altro, le candidature del genere meno rappresentato. Il sorteggio comunque si terrà solo nel caso in cui non ci saranno candidature spontanee sufficienti.
Dei sei candidati per ogni collegio binominale, infatti, almeno tre dovranno essere del genere meno rappresentato. Prevista la possibilità di collegarsi in network per i candidati giudici alle elezioni del Csm, un modo per tutelare i gruppi minori e dunque assicurare il pluralismo. Dei 13 seggi di giudice la bozza della riforma del Csm prevede che 8 di questi vengano attribuiti con sistema maggioritario binominale – due per ogni collegio – mentre gli altri 5 su base proporzionale, a livello nazionale. Proprio per la distribuzione proporzionale di questi 5 seggi è prevista la possibilità per i candidati di collegarsi in network.
Foto in copertina di repertorio: ANSA/FILIPPO ATTILI/UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI
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