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Draghi e la ribellione dei peones, dopo la rottura sul Milleproroghe resta il malcontento: «Il premier non è più il presidente della Bce»

18 Febbraio 2022 - 14:13 Angela Gennaro
«Con quel voto contrario al governo i partiti hanno dato un segnale al loro elettorato», dice Battelli (M5s). «Ma tanto poi in aula il governo mette la fiducia, aggiunge Borghi (Lega). «Draghi parla di disciplina? Dovrebbe favorire un dialogo maggiore con il parlamento», dice Raffa dal M5s

Che la nottata tra il 16 e il 17 febbraio tra i palazzi sia stata movimentata e infuocata è ormai quasi Storia: sono infatti passati alcuni emendamenti al Milleproroghe contro il parere dell’esecutivo, con il dietrofront sul tetto al contante ma anche su ex Ilva, le graduatorie della scuola e i test sugli animali. E contro al governo hanno votato di volta in volta tutti i partiti che fanno parte della maggioranza di governo. Tanto che il presidente del Consiglio, Mario Draghi, sarebbe andato su tutte le furie per i 4 voti nelle commissioni Bilancio e Affari Costituzionali e ieri 17 febbraio, nel corso di vertice ad hoc, sarebbe stato durissimo con i capigruppo della sua composita maggioranza. Ma cosa sta accadendo nella coalizione? E quanto pesano i malumori e le preoccupazioni dei singoli parlamentari, i cosiddetti peones?

«Geometrie variabili»

«Diciamo che il centrodestra è “responsabile” di uno dei quattro voti contrari, quello sull’emendamento sui contanti», ricostruisce a Open dalla Lega Claudio Borghi, componente della Commissione Bilancio della Camera. La tensione è aumentata intorno alle due di notte: «è tutto nei resoconti pubblicamente consultabili», si schernisce. Ma quello che è successo «è frutto di una reazione comprensibile rispetto alla compressione del ruolo del parlamento che va avanti da ormai due anni», affonda il deputato della Lega. «Si consideri però che stiamo parlando di un voto in commissione… Perché poi quando si va in aula il governo mette la fiducia. Noi lì voteremo anche per quegli emendamenti che sono passati e contro cui abbiamo votato in commissione, e lo stesso accadrà a Pd e Movimento 5 Stelle». Già, perché mentre Draghi ricorda ai partiti di essere stato chiamato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella per governare e «non per fare il Primus inter pares», la sua linea decisionista continua a provocare mal di pancia in un parlamento che, per alcune e alcuni, si sente “esautorato”.

«Ricordo sempre che siamo una repubblica parlamentare», affonda Angela Raffa dal Movimento 5 Stelle. «Draghi parla di disciplina? Dovrebbe favorire un dialogo maggiore con il parlamento. Ogni volta c’è un ramo che non riesce a fare modifiche sulle leggi». Questa «è certamente una maggioranza molto larga, in cui anche noi spesso stiamo stretti. E ci sono tematiche in cui il governo non può aspettarsi che i parlamentari restino fermi. Draghi deve capire che non sta facendo ancora il presidente della Banca centrale europea», aggiunge. «Che non è un tecnico ma che sta facendo politica. In questa maggioranza le differenze si vedono sempre di più e io vedo in quello che è successo l’altra notte il segnale che comunque non si sa quanto ancora questo governo potrà andare avanti». A lei, classe 1993, la parlamentare più giovane di questa legislatura e al primo mandato, «non pesa andare a casa. Se dovesse finire la legislatura e non dovessi essere rieletta torno a fare quello che facevo prima».

Il doppio mandato dei 5s

Sullo sfondo delle «geometrie variabili» che hanno portato ai voti “variegati” dell’altra notte (con «alleanze improbabili come quella Pd, 5s e Fratelli d’Italia che hanno votato insieme per un emendamento», chiosa Claudio Borghi con un sorriso) pesano infatti una serie di questioni più o meno emerse. C’è il tema di una legislatura che molti auspicano vedere arrivare a scadenza naturale: perché poi, dalla prossima, peserà la questione del vincolo di doppio mandato per i 5 Stelle ma anche quella del taglio dei parlamentari che vedrà molti attuali inquilini di Montecitorio e palazzo Madama dover andare alla ricerca di un’altra occupazione. Il tema del doppio mandato galleggia sottotraccia in casa 5 Stelle, ma è destinato a montare. La decisione finale spetta a Giuseppe Conte: che potrebbe decidere di non decidere e optare per il sistema del “recall“, ovvero il sì o il no alla ricandidatura di un singolo o una singola votato dalla base. «Nelle corde della nostra storia», dicono dal Movimento. Di certo – è la richiesta dei gruppi – sarà necessario un metodo “neutro” che vada al di là dei rapporti di forza e dei cerchi magici.

Le elezioni in arrivo

Dall’altro c’è il dato di fatto dell’arrivo delle prossime elezioni, prima amministrative e poi politiche. E dei segnali da dare all’elettorato che verrà e ai territori, in una competizione che si fa appunto sempre più ristretta. «Noi abbiamo dato un segnale sull’ex Ilva, il centrodestra l’ha fatto sul contante», spiega a Open Sergio Battelli, deputato grillino della prima ora. Il centrodestra (di nuovo unito) con Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia ha infatti votato – con un solo voto di scarto – una retromarcia sul contante: il tetto che dal 1 gennaio 2022 era sceso a mille euro torna ora a 2 mila euro fino al 1 gennaio 2023. Mentre sull’ex Ilva di Taranto è stato approvato un articolo su cui aveva dato parere contrario l’esecutivo: non verrà cambiata la destinazione di parte dei “fondi Riva”, che tornano così a poter essere usati per le bonifiche. «Non avremmo potuto accettare che le risorse destinate alle bonifiche delle aree contaminate dello stabilimento ex-Ilva di Taranto venissero dirottate su altri fini». Per il Pd, che rivendica il voto anche se contrario al governo, quei 575 milioni di euro «sono stati restituiti agli interventi di ambientalizzazione», dice Ubaldo Pagano, capogruppo Pd in commissione Bilancio a Montecitorio.

Decreti e urgenza

D’altro canto il Milleproroghe «è sempre stato un decreto che deve far fronte alle tante sensibilità dei gruppi e dei singoli», ragiona ancora Battelli dal M5s. «Sarebbe stato complesso anche con maggioranze più piccole e meno complesse di questa. In più siamo a un anno dalle elezioni, in una maggioranza enorme che è sempre più difficile tenere dalla stessa parte». Per Battelli, Draghi «ha ragione nel dire che bisogna fare in fretta. E per fare in fretta, l’unico strumento è quello del decreto. Ci sono tutti i punti legati dal Pnrr, con scadenze stringenti richieste dall’Europa. Capisco che si scalpiti sempre più e ci si voglia distinguere, ma in questo momento dobbiamo lasciare da parte le ambizioni di partito. Certo, da parlamentare gli ultimi due anni sono stati un inferno perché siamo in balia di decreti a raffica e il nostro lavoro è ridotto all’osso», dice Battelli.

Incidente finito, dunque? Forse sì, ammette Borghi: «Da parlamentare mi piacerebbe che i temi, soprattutto quelli riguardanti restrizioni, Green pass, riaperture, obbligo vaccinale, vengano trattati in aula. Senza il ricorso alla fiducia». E conclude «Non credo che Draghi stia trattando i parlamentari come bambini. Ma penso che un governo di unità nazionale non significa che non ci sono maggioranze politiche».

In copertina ANSA/ PALAZZO CHIGI / FILIPPO ATTILI | Il presidente del Consiglio Mario Draghi a Bruxelles, 17 febbraio 2022

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