Trafficanti di uomini, narcos e corrotti: ecco i clienti “speciali” di Credit Suisse (ora nella bufera)
Bufera sulla banca svizzera Credit Suisse che, secondo un’inchiesta dell’Organized Crime and Corruption Reporting Project, ovvero un consorzio di 47 media di tutto il mondo che include testate giornalistiche come Le Monde, The Guardian e Miami Herald (coinvolti 160 giornalisti di 39 Paesi), avrebbe gestito almeno 18 mila conti correnti in qualche modo collegati ad attività criminali ma anche a soggetti che avrebbero commesso violazioni dei diritti umani. Conti e depositi per un valore complessivo superiore a 100 miliardi che la banca svizzera avrebbe ospitato tra gli anni ’40 e la fine degli anni 2010. Tra questi ci sarebbe stato l’affarista Antonio Velardo, sospettato di riciclaggio per conto della ‘ndrangheta, che alla Credit Suisse avrebbe aperto sei conti depositando fino a 4 milioni di euro, secondo Le Monde. Velardo, 32 anni, è stato poi rilasciato.
Suisse secretes
Un’inchiesta, questa, denominata Suisse secrets, che è cominciata un anno fa quando il quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung ha ricevuto da una fonte anonima informazioni provenienti da ben 18 mila conti di Credit Suisse riconducibili a 37 mila persone o aziende. Informazioni poi condivise con altri 47 media internazionali tra cui, appunto, Le Monde. Gli inquirenti italiani, che indagavano nell’inchiesta Metropolis, incentrata sulla costruzione e sull’utilizzo di strutture turistiche, invece, avevano una traccia che portava alla banca svizzera ma non hanno potuto far nulla perché nessuno avrebbe collaborato alla loro indagine. Secondo Le Monde – e se così fosse, l’accusa sarebbe gravissima – dall’inchiesta emergerebbe che «a dispetto delle regole di vigilanza imposte alle grandi banche internazionali, l’establishment nato a Zurigo ha ospitato fondi legati alla criminalità e corruzione per diversi decenni». Credit Suisse, intanto, ha «negato fermamente» ogni coinvolgimento in qualsiasi tipo di attività criminale.
I clienti
In Credit Suisse, che è la seconda banca svizzera e una delle istituzioni finanziarie più importanti del mondo, nonostante le promesse di maggiore trasparenza e di tracciabilità dei fondi, sarebbero stati ospitati i conti di clienti “speciali”. La banca si è difesa sostenendo che si parla di fatti vecchi, di informazioni parziali e poco accurate e che, laddove necessario, sono già stati presi provvedimenti. Tra i clienti di Credit Suisse ci sarebbero stati – come scrive oggi La Stampa – anche familiari e associati dei dittatori che hanno poi scatenato le primavere arabe. Ma anche un generale algerino che guidava le torture durante la guerra civile che poi ha distrutto il Paese oltre a un cittadino svedese, Bo Stefen Sederholm, condannato per traffico di esseri umani (gestiva un traffico di giovani donne filippine indotte alla prostituzione e al porno online con la promessa di un lavoro da segretaria) e a un italiano legato al riciclaggio delle cosche di ‘ndrangheta. E non è finita qui: ci sono persino personalità del calibro di Evelin Banev, a capo di un gruppo di narcotrafficanti italiani e bulgari, Alaa Mubarak, figlio dell’ex dittatore egiziano, che aveva oltre 200 milioni di franchi nel suo conto svizzero, Omar Suleyman, a capo dei servizi segreti egiziani e accusato di tortura. Tra gli italiani almeno 700 persone tra cui Mario Merello, imprenditore che, secondo la procura di Milano, sarebbe stato a capo di un’associazione per delinquere che tra il 2000 e il 2009 avrebbe frodato al fisco 450 milioni di euro.
Il modus operandi
Ma come ha lavorato in questi anni la banca finita al centro dello scandalo? Un reporter si è finto potenziale investitore e ha proposto alla banca di depositare una grossa somma di denaro in cambio, però, di riservatezza che un alto dirigente gli avrebbe assicurato. Insomma, in pochi avrebbero avuto accesso alle informazioni del conto. Con le nuove regole, sempre più stringenti, infatti, la riservatezza – anche quella dei conti svizzeri – ha iniziato a vacillare, per cui ad alcuni sarebbe stato proposto di fare dei trust con i dipendenti dell’istituto come fiduciari e direttori. Clienti che, dunque, sarebbero sfuggiti al normale processo di apertura dei conti e la cui documentazione sarebbero finita in cartelle che avrebbero conosciuto solo i dirigenti, ha spiegato un ex Credit Suisse. La banca avrebbe, di fatto, incoraggiato i propri dipendenti a non farsi troppi scrupoli, e a fornire servizi a clienti con fondi di dubbia provenienza. Secondo il Financial Times, infine, una decina di alti dirigenti della banca, così come il loro dipartimento legale, sarebbero stati a conoscenza del fatto che tra i clienti ci sarebbero stati anche trafficanti di droga. Ma nessuno avrebbe fatto qualcosa per cacciarli. Anzi.
Foto in copertina di repertorio: EPA/JEAN-CHRISTOPHE BOTT
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