Caso David Rossi, il pm Nicola Marini: «Sul suo pc 35 file con la parola “suicidi”» – Il video
Alle 11.15 di oggi, 23 febbraio, è cominciata l’audizione di Nicola Marini, procuratore del tribunale di Siena, davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di David Rossi, l’ex capo della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena, morto il 6 marzo 2013 dopo essere caduto dalla finestra del suo ufficio. Marini è stato uno dei pm che ha indagato sulla morte del manager insieme a Nastasi e Natalini: sentito oggi, ha spiegato come sono andati i fatti secondo lui. «Questo procedimento per ben due volte è stato valutato dal gip. Il gip è giunto a una conclusione per ben due volte e cioè che il fatto non sussiste rispetto all’ipotesi di istigazione al suicidio. Se ci fosse stato un solo elemento concreto al quale agganciare un’ipotesi da investigare diversa da quella suicidaria lo avremmo fatto. Non c’era motivo di non farlo. Se voi leggete tutti gli atti, vi rendete conto che non c’è un’informativa, una dichiarazione, un’ipotesi rappresentata che sia dissonante da un’ipotesi diversa dal suicidio», ha detto Marini sostenendo, di fatto, che nessuno di loro ha mai avuto dubbi.
Analizzando il pc di Rossi – ha rivelato oggi Marini – sarebbero stati trovati 35 file con la parola “suicidi”: «Viene fatta una scrematura da parte della polizia postale relativamente alle date 1 marzo, 6 marzo ristretta alle parole soldi, crisi, suicidio. Uno degli ultimi dati che stava leggendo Rossi, e messo nella posta eliminata, è del 6 marzo 2013 alle ore 16.39 e riguardava un dato molto importante, la circostanza che 8 suicidi al mese avvengono per ragioni economiche. Questo è un dato che stava leggendo David Rossi». Infine Marini ha precisato di non aver mai conosciuto Rossi (prima di quel 6 marzo) e di non aver mai frequentato “salotti”: «Su questo procedimento non ho mai smesso di essere certo delle mie convinzioni ma non ho mai cercato una via diversa da quella giudiziaria per poter reagire».
La ricostruzione di Marini
Rossi si è tolto la vita, dice la magistratura, nessuno lo ha ucciso. Dai suoi ricordi il colonnello Aglieco, invece, «non era» nell’ufficio di Rossi durante il sopralluogo del 6 marzo. Marini ha detto di essere rimasto «meravigliato» dall’audizione di Aglieco, precisando poi che non sarebbe stato il colonello ad avvisarlo della morte di Rossi, bensì Nastasi, l’altro pm insomma. Sul mistero dei bigliettini presi dal cestino e ricomposti, Marini ha spiegato che «furono messi sul tavolo, dispiegati e ne leggemmo il contenuto». «Fui richiamato dal luogotenente Cardiello che mi fece notare che all’interno del cestino dell’ufficio di Rossi c’erano dei bigliettini accartocciati. Gli dissi di prenderli», ha aggiunto. Cardiello a quel punto li mise sul tavolo: «Rappresentano le ultime volontà, abbiamo una situazione lineare nella stanza, non rimaneva che andare a vedere il cadavere per chiudere il cerchio».
Intanto, mentre erano nell’ufficio di Rossi, squillò il telefono: «Tutti notammo che era Daniela Santanchè, il mio collega disse il suo nome a voce alta. Nessuno rispose e smise di squillare». In merito alla persona che la notte del 6 marzo del 2013 fu vista affacciarsi nel vicolo dove si è consumata la tragedia, dice: «L’abbiamo ritenuta irrilevante. Una presenza fugace, non è detto che lo avesse visto». E poi aggiunge altri due elementi: l’autopsia sul corpo di Rossi fu disposta da lui, «non perché richiesta dalla famiglia». Autopsia che sempre di più spinse la procura a ipotizzare il suicidio. E niente di più.
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