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Ucraina, per l’Italia è caccia al gas. Centrali a carbone e forniture dall’Africa sul tavolo del Consiglio dei ministri

28 Febbraio 2022 - 09:11 Giada Giorgi
Il Cdm previsto per oggi 28 febbraio deciderà sull'eventuale piano d'emergenza da mettere in atto in caso di calo o interruzione delle esportazioni russe. Si punta su Tap e Algeria per il raddoppio di forniture

Mentre le sanzioni dell’Occidente tentano di fermare la furia guerrafondaia di Vladimir Putin, il timore di ritorsioni energetiche ed economiche fa correre l’Italia al riparo. Oggi 28 febbraio il Consiglio dei ministri varerà il decreto che «in caso di emergenza» consentirà ai produttori di energia elettrica di differenziare le fonti fossili con cui produrre elettricità, eliminando la priorità per norma riconosciuta al gas. Si potrà in sostanza utilizzare anche il carbone in quantità maggiore e in ogni centrale che lo permetterà. La decisione di oggi varerà quindi anche la sospensione del programma di dismissione delle sei centrali a carbone attualmente attive in Italia destinate a disattivarsi in modo definitivo entro il 2025. Le centrali garantiscono in media il 5% dell’elettricità consumata dal Paese, ma il potenziale riconosciuto è di una copertura del 15% nei momenti di maggior consumo. «L’Italia è lontana da una situazione di allarme per le forniture di gas», ha spiegato il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, «lo stato di pre-allarme indetto è semplicemente una misura di cautela che avvia un monitoraggio costante della situazione energetica nazionale e un riempimento dello stoccaggio anticipato rispetto a quanto normalmente accade da primavera avanzata in poi».

«Nessun allarme»

Se da una parte il governo rassicura, fornendo massimo sostegno per una delle sanzioni finanziarie più dure da impartire alla Russia, e cioè l’esclusione dal sistema Swift, dall’altra la preoccupazione di alcuni esponenti politici avverte su una crisi energetica da scongiurare. Prima dell’ok ufficiale da parte del premier Draghi alla dura punizione da riservare a Putin, il ministro dell’Economia Daniele Franco aveva espresso non pochi timori sull’eventualità di un blocco totale del flusso di energia proveniente dal territorio russo. «Se una sanzione dovesse interrompere la possibilità di pagare il gas e interrompere i flussi di gas per un paese come l’Italia che utilizza il gas russo per circa il 43% del suo fabbisogno e quindi il 15-16% del fabbisogno complessivo di energia, è chiaro che il venir meno subitaneo di tali forniture potrebbe essere un problema». A fare da eco anche il leader della Lega Matteo Salvini, che subito dopo la telefonata tra il premier Draghi e il presidente Ucraino Zelensky, ha commentato su un possibile rischio blackout: «Per fermare la guerra vale tutto e tutti i mezzi necessari vanno messi in campo, ma un conto è bloccare i patrimoni degli oligarchi, dei politici e dei guerrafondai. Se sospendiamo i pagamenti l’Italia rimane senza gas e il rischio è quello di un blackout totale».

A caccia di gas

E allora si comincia a correre preventivamente ai ripari. Dai dati degli operatori emerge che attualmente gli stoccaggi italiani sono più pieni della media europea. La decisione del Consiglio dei ministri servirà a spingere ulteriormente la produzione e, come spiegato dallo stesso Draghi, «e a evitare il rischio di crisi future». Anche l’afflusso di gas dalla Russia tramite il valico di Tarvisio per ora sembra continuare regolarmente, confermando quanto l’azienda fornitrice Gazprom aveva assicurato nei giorni scorsi: «La fornitura all’Europa continuerà regolarmente». Ma gli scenari di guerra cambiano di ora in ora e il Paese va a caccia di ulteriore gas per affrontare eventuali tempi difficili. La ricerca è soprattutto su fonti alternative al metano venduto da Mosca e che finora ha garantito il 40% dei consumi nazionali per oltre 75 miliardi di metri cubi contanti nel 2021. «Stiamo trattando col governo di Baku il possibile raddoppio delle forniture», ha fatto sapere il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano. L’obiettivo è quello di ridurre la dipendenza dalle forniture russe, «in attesa di sviluppare le rinnovabili».

Una delle ipotesi più accreditate allo studio del governo è quella di portare da 10 a 20 miliardi di metri cubi all’anno l’import di gas attraverso il Tap che dall’Azerbaigian conduce il metano fino in Puglia e da lì anche in Europa. Un’altra delle azioni potrebbe essere quella di far confluire nel Tap anche il gas proveniente dal Turkmenistan. Nella ricerca di fornitori più affidabili poi, il Paese su cui si starebbe puntando di più è l’Algeria, ad oggi il secondo bacino energetico dell’Italia con una quota di approvvigionamento vicina al 30%. Dal canto suo, l’azienda di stato algerina Sonatrach ha già di chiarato attraverso l’amministratore delegato Toufik Hakkaha di essere pronta a fornire più gas: «In caso di calo delle esportazioni russe intensificheremo il nostro stoccaggio per l’Europa utilizzando il gasdotto Transmed che collega l’Algeria all’Italia».

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