Aumenti record dei cereali: ma è davvero tutta colpa della guerra in Ucraina?
L’aumento dei prezzi dei cereali – che nei giorni scorsi hanno raggiunto record paragonabili a quelli della crisi finanziaria del 2008 – continua a preoccupare l’industria alimentare italiana. Il costo all’ingrosso dei cerali rimane altissimo nonostante il lieve calo registrato oggi, 9 marzo, dal prezzo del grano. Ieri alla borsa di Chicago il grano tenero si è stabilizzato a 395 euro a tonnellata, mentre il mais a 271. Alla vigilia dello scoppio della guerra – il 23 febbraio – gli stessi beni venivano valutati rispettivamente 263 e 244 euro a tonnellata. Questi dati trovano conferma in quelli della Camera di Commercio di Torino, dove – dall’inizio della guerra a oggi – il frumento di forza (un tipo di grano tenero) è passato da 346 euro a tonnellata a 380, il frumento panificabile da 310 a 345, la farina di mais da 568 a 620, e la farina di girasole – uno dei principali export dell’Ucraina – da 365 a 460. Spicca il dato sulla semola di grano duro, rimasto invariato a 986 euro la tonnellata.
Le ragioni dei rincari?
Ma è davvero tutta colpa della guerra? In realtà, gli aumenti di prezzo si devono a una serie di fattori. Innanzitutto, il blocco delle esportazioni dal Mar Nero, su cui si affacciano i principali porti Ucraini, Odessa, Mariupol e Cherson, tutti nella morsa del conflitto. Inoltre, per prevenire carenze di cibo nel nel paese, ieri, 8 marzo, l’Ucraina ha bloccato tutte le esportazioni di una serie di prodotti alimentari, tra cui grano tenero, grano saraceno e mais. Sono calate anche le forniture dalla Russia, il maggior produttore mondiale di grano, che aveva tagliato le esportazioni già il 14 febbraio scorso. Oltre a quelle legate direttamente agli export, ci sono problemi anche nella produzione. Il caro carburanti mette in difficoltà agricoltori e trasportatori, che vedono ridursi drasticamente i loro margini di guadagno. Nello specifico, gli aumenti vertiginosi del prezzo del gas naturale si ripercuotono sul costo dei fertilizzanti all’azoto, di cui è il componente principale. Infine, la siccità che ha colpito Canada e Usa nel 2021, ne ha ridotto i raccolti, diminuendo ulteriormente la quantità di materia prima disponibile, e aumentandone di conseguenza i prezzi.
Gli effetti su pane e pasta
Chiaramente, i rincari dei cereali si ripercuotono a catena sui prodotti finiti. Tra tutti il pane, dove il prezzo del grano incide l’8,5% del costo finale. Il discorso è invece diverso per la pasta e tutti gli altri prodotti che impiegano esclusivamente grano duro. Nel caso dell’alimento più amato dagli italiani, l’aumento di prezzo è strettamente correlato a quello dell’energia, necessaria all’essiccazione, e molto meno a quello della semola, il cui prezzo è aumentato dell’80% nell’ultimo anno, ma non è stato influenzato dalla guerra in Ucraina. Come ha comunicato ad Open Marilena Esposito di Pasta Garofalo, riprendendo un comunicato di Union Food, all’infuori del caro energia, «la guerra tra Russia e Ucraina non mette a rischio la produzione di pasta italiana e non impatta direttamente sui prezzi della pasta; il peso di questi due Paesi è estremamente marginale rispetto al fabbisogno del settore di grano duro. Dall’Ucraina non è stato importato grano duro nel 2021, mentre quello arrivato dalla Russia nello stesso periodo rappresenta meno del 3% delle importazioni e meno dell’1% sul fabbisogno totale dei pastai». Nel complesso, è difficile stabilire di quanto saliranno i prezzi dei prodotti finiti, dato che le materie prime e i carburanti continuano a fluttuare. Si prevede un rincaro del 10% sulla pasta, mentre il prezzo del pane era già salito dell’11% prima del conflitto.
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