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Come la Russia sfrutta le bufale sull’invasione in Ucraina

Le bufale sul conflitto in Ucraina esplodono sul web. E molte sono condivise dai profili ufficiali di Mosca

Il 10 marzo 2022, alle 8.32 ore italiane, il canale Telegram ufficiale del Ministero degli Esteri russo pubblica un video con in allegato un testo per parlare delle «fake news degli altri». Nel messaggio che accompagna il video si legge: «L’ospedale pediatrico (di Mariupol, ndr) è stato chiuso dopo l’inizio dell’operazione speciale russa in Ucraina. I nazionalisti di Azov hanno detto ai medici di uscire».

La tesi avanzata dagli utenti russi e filo-russi, infatti, è che le vittime del bombardamento che ha colpito il nosocomio il 9 marzo siano finte, dal momento che – a detta loro – la struttura era stata sgomberata dai civili e occupata dalle milizie ucraine. Le parole vengono accompagnate da un video, reperibile anche su YouTube, che mostra alcune immagini che dovrebbero supportare l’ipotesi. Per capire qual è la verità intorno alla distruzione dell’ospedale nella città ucraina, analizziamo le “prove” contenute nella clip.

Il contenuto del video diffuso dal Ministero degli Esteri Russo

Innanzitutto, riconosciamo subito alcune immagini che avevamo già verificato in un nostro fact-checking, in cui si vedono alcuni soldati ucraini ridere e scherzare all’interno di una struttura che viene associata all’ospedale di Mariupol. Risalendo al primo profilo che ha condiviso la clip, leggiamo che i militari si trovavano in realtà ad Odessa: il luogo è infatti precisato negli hashtag che la accompagnano, mentre non c’è alcun riferimento a Mariupol o all’ospedale pediatrico.

Lo screenshot del post originario, pubblicato su TikTok

Il video continua, riproponendo un’altra informazione che avevamo già smentito: quella secondo cui ci sarebbero dei militari ucraini sul tetto dell’ospedale di Mariupol, a dimostrazione della loro occupazione della struttura. In realtà il video non ha nulla a che fare con l’ospedale pediatrico, sono due edifici diversi e situati in luoghi lontani tra di loro nella città.

La distanza tra i due edifici dimostrata da una ricerca su Google Maps

La propaganda russa, dopo il bombardamento del 9 marzo a Mariupol, ha fatto leva sulla presunta evacuazione di civili dal posto per dimostrare che i raid avevano preso di mira un obiettivo militare. Le fonti che vengono citate sono sempre due: una dichiarazione dei diplomatici russi del 7 marzo, che analizzeremo tra poco, e il sito Lenta.ru, che avrebbe intervistato il figlio di una donna che lavorava per l’ospedale di Mariupol confermandogli che l’edificio era stato evacuato. Entrambe affermazioni difficili da dimostrare. Eppure le notizie riescono ad avere grande diffusione sui social, ampiamente usati dagli organi di informazione filo-russa.

Le autorità russe sui social network

Su Telegram il canale di Vladimir Solovyov, giornalista considerato uno dei maggiori propagandisti del Cremlino, può contare su oltre mezzo milione di iscritti. Lo stesso canale Telegram del Ministero degli Esteri russo, che abbiamo citato in apertura, ha 9.800 iscritti. Anche su Twitter, gli organi di informazione di Mosca si dimostrano molto attivi. Il 10 marzo, per esempio, il profilo dell’ambasciata russa nel Regno Unito ha condiviso il seguente post:

FM #Lavrov on the #Mariupol attack: The maternity house was long non-operational. Instead, it was used by [bandiera dell’Ucraina] armed forces and radicals, namely the neo-Nazi Azov Battalion. Moreover, #Russia warned #UN Security Council about this 3 days ago.

Il post dell’ambasciata russa nel Regno Unito

Il post è stato successivamente rimosso dal social, per aver violato le regole di Twitter.

Anche l’ambasciata russa di Israele ha condiviso la stessa notizia, scrivendo:

The truth is that the maternity hospital has not worked since the beginning of Russia’s special operation in Ukraine. The doctors were dispersed by militants of the Azov nationalist battalion. #StopFakeNews

Il post dell’ambasciata russa di Israele

Il tweet, attualmente, non è più reperibile sul social: è stato eliminato dai suoi creatori. Anche l’ambasciata russa in Italia ha tuttavia riproposto lo stesso copione, denunciando una presunta “campagna di menzogne” ai danni del Paese:

Il post dell’ambasciata russa in Italia

La verità su quanto accaduto sarebbe stata, a loro dire, raccontata dal deputato e rappresentante permanente della Russia presso le Nazioni Unite Dmitry Polyanskiy. In un tweet molto condiviso, il politico ha citato un articolo del 7 marzo, pubblicato sul sito ufficiale dell’organismo di rappresentanza russo, in cui si legge che il personale dell’ospedale di Mariupol era stato costretto a uscire dalla struttura dalle forze armate ucraine. La fonte? Testimonianze a loro rilasciate da “gente del luogo” (“locals” in lingua originale).

La contro-narrazione in Russia

Per quanto ne sappiamo fino ad ora, gli organismi di rappresentanza di Mosca non creano queste bufale, ma le condividono. E mentre l’Unione Europea bandisce Sputnik e Russia Today (RT), media accusati di “alterare sistematicamente” la realtà, le autorità russe ricorrono a nuovi canali per diffondere l’informazione pro-Cremlino. Una delle fonti di cui solitamente si avvalgono è il sito War on fakes, creato il 24 febbraio 2022 (nello stesso giorno dell’inizio dell’invasione in Ucraina). Ufficialmente istituito per «contrastare le fake-news», nei fatti è strumento per diffondere la propaganda che mischia bufale governative e debunking accurati. Questa tecnica è un classico della disinformazione, che accosta elementi veri e falsi per aumentare la credibilità delle bufale.

Uno degli esempi del loro modus operandi è quello del bombardamento della stazione televisiva di Kiev, raccontato rimandando al mittente l’accusa di uccisione dei civili. In che maniera hanno definito la denuncia degli ucraini una fake? Addossando la responsabilità alle autorità di Kiev, perché la Russia li avrebbe avvisati in anticipo. Inoltre, non contenti, sostengono che i cadaveri rinvenuti sul posto potrebbero essere stati prelevati da un obitorio vicino, dando il via alla teoria del complotto. Il tutto, ovviamente, senza prove: e questo modo di lavorare non è quello del fact-checking, ma denuncia la chiara intenzione di alimentare la disinformazione e la confusione conveniente al Cremlino.

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