Progetti bloccati, scontro tra ministeri, tutela del paesaggio: cosa ostacola lo sviluppo dell’eolico
L’indipendenza energetica è una delle grandi sfide del momento. L’Italia, legata alla Russia per l’importazione del gas e indietro sulle rinnovabili, cerca di differenziare le fonti. Ma mentre lo spettro del carbone e delle trivelle torna a fare capolino nel dibattito politico, il governo prova a fare un passo avanti sulla transizione ecologica. Lo scorso 10 marzo, il consiglio dei ministri ha comunicato di aver sbloccato 4 nuovi impianti eolici nel Foggiano (da 43,2 MW, 58,5 MW, 39,6 MW e 121,9 MW), il potenziamento di un impianto molto vecchio a Sassari – il “Nulvi Ploaghe” da 121,5 MW – e la proroga del parco a Tricarico (Matera) da 33 MW. Come spiega Simone Togni, presidente dell’Anev, l’Associazione nazionale energia del vento, l’apertura arrivata nei giorni scorsi è certo un passo avanti, ma è molto meno di quanto ci si aspetti. «La realtà è che quei 6 progetti non sono stati autorizzati: hanno solo sbloccato la questione relativa al conflitto di competenze nell’ambito della valutazione dell’impatto ambientale». In altre parole, hanno sbloccato l’iter valutativo di 4 impianti per cui tutti gli enti avevano dato parere positivo, mentre la sovrintendenza parere negativo.
La sovrintendenza è l’ente legato al ministero della Cultura, e che, secondo Togni, sta bloccando la realizzazione di tutte le rinnovabili in Italia. Ogni volta che dà parere negativo, la pratica passa alla Presidenza del Consiglio, che al momento ha 120 progetti in coda da esaminare. «Quest’ultima decisione è positiva – ha detto Togni – ma riguarda comunque lo sblocco di 418 MW (cioè 0,418 GW), su circa 9 mila MW fermi alla Presidenza del Consiglio». Secondo le stime dell’Anev, l’Italia potrebbe arrivare a raggiungere i 30 GW di energia prodotta attraverso l’eolico nel 2030. Una cifra anche più alta di quanto richiesto dall’Unione europea (20 GW) nell’ottica della decarbonizzazione. Attualmente, però, ci sono appena 10 mila MW di impianti che funzionano, che coprono i consumi nazionali per il 7%. «Se lei ha dieci lampadine, quasi una l’accende l’eolico», ha detto Togni.
I progetti bloccati alla Presidenza del Consiglio
Dei 120 progetti in attesa di esame, alcuni aspettano da oltre tre anni. Quale criterio ha utilizzato il Cdm per scegliere di dare la precedenza all’iter di quei 4 impianti pugliesi? «Che le devo dire? Non lo so», dice Togni. «Noi come Anev abbiamo anche fatto una richiesta formale, ma non ci hanno filati». Per l’Associazione, il criterio più corretto potrebbe essere quello cronologico – cioè esaminare chi da più tempo sta aspettando una risposta. Ma qualsiasi risposta sarebbe ben accetta, purché venga comunicata: «Sapendo quali sono gli indici di priorità, ci muoveremmo di conseguenza. Per ora l’unica cosa che ho visto è che tutti i progetti esaminati sono in capo ad aziende molto grosse».
Il freno del ministero della Cultura e il caso della Puglia
All’Anev è stato comunicato informalmente di aspettarsi un’infornata di sblocchi ogni mese e mezzo, ma sul criterio non si sa niente. Secondo Togni e stando alle notizie trapelate dal Cdm, un ruolo molto importante ce l’ha il ministero della Cultura. I progetti in Puglia discussi in Cdm erano inizialmente 10, ma Dario Franceschini avrebbe patteggiato per 4 (e per di più molto piccoli). Ad agitare gli animi è stato soprattutto il parco eolico offshore (cioè non sulla terra, ma in mare) che si vorrebbe realizzare nel basso Adriatico, a 12 chilometri dalla costa pugliese, e che comprenderebbe 90 aereogeneratori per un totale di 1.350 MW. Secondo fonti consultate da Open, tutto il Cdm si sarebbe opposto allo sblocco dell’iter, compreso il presidente di Regione Michele Emiliano, pur non avendone competenza. A oggi, comunque, la provincia di Foggia è in assoluto quella con la maggior parte degli impianti installati.
Dal 2017, cioè da quando esiste la valutazione dell’impatto ambientale al ministero della Transizione ecologica, la sovrintendenza del ministero della Cultura ha dato parere negativo su tutti i progetti presentati – rimettendo tutto alla Presidenza del Consiglio e, di fatto, bloccando l’iter per molto tempo. Perché? «Le motivazioni vanno da un’attenzione paesaggistica su aree di particolare pregio», dice Togni, «fino a cose meno comprensibili. Ad esempio, contiamo pareri negativi su progetti intorno ai quali loro non dovrebbero neanche esprimersi».
La sfida ambientale e il ritardo italiano
Lo stesso giorno in cui il Cdm ha sbloccato l’iter di quei 4 progetti, l’International Energy Agency (Iea) ha pubblicato il report Global Energy Review: CO2 Emissions in 2021. Dopo un miglioramento delle emissioni nel primo anno di pandemia, nel 2021 si è registrato un record storico di emissioni globali di CO2: +2 miliardi di tonnellate emesse. Nell’ottica di una decarbonizzazione urgente, l’obiettivo europeo prevede per l’Italia che da qui al 2030 (e poi al 2050) la produzione elettrica derivante dall’eolico raddoppi. Il 7% dei consumi è un numero non grandissimo, ma che inizia a essere «significativo», dice Togni. Nell’ultimo anno, però, abbiamo fatto appena 400 MW di eolico contro gli 1,2 GW che ci sono stati richiesti dall’Ue per stare in pari.
«Siamo molto in ritardo: non stiamo facendo neanche un terzo di quello che dovremmo». Secondo il co-portavoce nazionale di Europa Verde, Angelo Bonelli, per raggiungere l’obiettivo della transizione energetica il nostro Paese «deve installare entro il 2030 80 GW di rinnovabili, con una media di 9 GW l’anno». Per Bonelli, la responsabilità del ritardo è in capo a governo, regioni e province, che continuano a bloccare gli impianti: «Il costo delle rinnovabili è molto basso ma si continua a fermarle, guardando ancora alle fonti fossili, principali responsabili del disastro economico e sociale che stiamo vivendo».
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