Samantha D’Incà morta dopo un anno di coma, i genitori: «I medici hanno prolungato la sua sofferenza»
«Quando ci ha lasciati, le ho sussurrato “Samy, è la festa del papà e come regalo mi hai donato la tua libertà”». A parlare è Giorgio D’Incà, papà di Samantha, 30enne di Feltre (Belluno) che sabato 19 marzo 2020, dopo 14 mesi di atroci sofferenze, essendo in stato vegetativo irreversibile, è morta grazie alla determinazione e alla battaglia di suo padre che ha chiesto e ottenuto dal tribunale l’incarico di amministratore di sostegno e, dunque, subito dopo, l’autorizzazione al trattamento di fine vita (che consiste nella sospensione della nutrizione e nello stop alla somministrazione di tutti i farmaci; in altre parole un percorso di accompagnamento al decesso). «Siamo storditi, addolorati, sereni e disperati. Samy è morta senza dolore», dicono papà Giorgio e mamma Genzianella oggi a Repubblica. «Eravamo accanto a lei, mano nella mano, fino all’ultimo respiro». La saluteranno con una cerimonia privata. Samantha, infatti, prima di smettere di soffrire, ha dovuto attendere un po’: non aveva fatto il testamento biologico e i medici non potevano staccarle la spina senza un’autorizzazione del tribunale. Suo padre si è battuto affinché le venissero interrotte le cure, la nutrizione e l’idratazione artificiale. Non voleva più vederla soffrire così. «Da quando Samy è entrata in coma, abbiamo deciso di far rispettare le sue volontà. Ci diceva: se mi ritrovassi in una condizione come quella di Eluana o di dj Fabo (la madre Carmen Carollo ha affidato proprio a Open il suo racconto, ndr) per favore, aiutatemi a morire». E così hanno fatto.
La storia di Samantha D’Incà
L’incubo di Samantha comincia con una banale caduta nel vialetto della sua casa. Si rompe un femore, finisce in ospedale, viene operata e infine dimessa. Ed è a casa che succede qualcosa di strano: avverte «gonfiori sospetti alle gambe, ventre e viso». Poi la corsa in ospedale dove, però, le sarebbe stato risposto di «stare a riposo». Per i suoi genitori «dietro la sua morte c’è una storia di malasanità». «Nessuno ci ha mai detto cosa è successo a Samy in sala operatoria. Infettata da un batterio che ha colpito il suo cervello? Si poteva salvare?», si chiedono adesso. Dal 4 dicembre 2020 la figlia finisce in coma per le conseguenze di questa grave infezione contratta dopo l’operazione per la frattura di un femore. Col passare del tempo i medici stabiliscono che non si sarebbe mai più ripresa e che continuava ad avvertire dolori molto forti, nonostante le cure. Ed è qui che comincia la battaglia di suo padre Giorgio che si fa nominare dal tribunale di Belluno amministratore di sostegno della famiglia (così poi da chiedere lo stop alle cure per conto della figlia). Una sentenza «esemplare», la definisce lui, anche se ci sono voluti «altri tre mesi di atroci sofferenze di nostra figlia prima che i medici decidessero di interrompere le cure, un fatto gravissimo». La sentenza – continua – sarebbe stata applicata «soltanto quando abbiamo minacciato di chiamare di nuovo la stampa, quando abbiamo appeso sul letto di Samy quella maglietta con su scritto “non ho parole”, come fosse il suo grido muto». Solo a quel punto hanno «onorato la sentenza». Nelle ultime settimane, tra l’altro, le condizioni di salute di Samantha stavano peggiorando sempre di più.
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