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L’analista: «Vi spiego perché Putin sta facendo fuori gli uomini dei suoi servizi segreti»

28 Marzo 2022 - 06:26 Redazione
Andrey Soldatov spiega che gli apparati del potere non sono d'accordo con lo Zar e si sentono vittime dei suoi errori in Ucraina

L’analista Andrey Soldatov è uno dei massimi esperti dei servizi d’intelligence russi. Ricercatore del Center for European Policy Analysis, insieme a Irina Borogan ha fondato il sito web Agentura.ru, bloccato una settimana fa dall’authority censoria di Mosca. In un’intervista rilasciata a Repubblica spiega oggi che «Putin ha cambiato le regole del gioco. E lo ha fatto drasticamente. Non aveva mai attaccato pubblicamente i suoi uomini, gli uomini dei servizi». Invece adesso «ha umiliato pubblicamente il direttore dell’intelligence estera, Svr, Serghej Naryshkin. Due settimane e mezzo dopo, abbiamo saputo di purghe all’interno del dipartimento estero dell’Fsb, un dipartimento cruciale perché è responsabile delle operazioni nell’ex Urss e in Ucraina. Due alti dirigenti sono stati interrogati e messi agli arresti. Dovevano insediare politici filo-Cremlino e hanno fallito. Non c’era sostegno popolare né politico per un’invasione in Ucraina ed era loro compito garantire entrambi».

Li ha accusati di cattiva amministrazione dei fondi: «Perché se spendi soldi per coltivare sostenitori in Ucraina e questi sostenitori non si palesano, vuol dire che hai speso male. Ma la faccenda si sta complicando. Il controspionaggio militare sta indagando su questo dipartimento alla ricerca di traditori. È comprensibile. I servizi occidentali avevano informazioni accurate». Soldatov spiega nel colloquio con Rosalba Castelletti che «Putin è contrariato, persino arrabbiato, con i protagonisti dell’operazione in Ucraina, e la Guardia nazionale è tra questi. Non è contento dell’operazione, ma crede ancora nella bontà del suo piano originale. E pur di non ammettere colpe, cerca capri espiatori: intelligence errata, sottrazione di fondi, traditori…».

Del piano di invasione dell’Ucraina, secondo all’esperto, erano a conoscenza «quattro o cinque persone al massimo. Il ministro della Difesa Serghej Shojgu, il capo del Consiglio di Sicurezza Patrushev. Jurij Kovalchuk (principale azionista di Rossija Bank, ndr), si dice. E uno o due amici di San Pietroburgo». Nell’apparato, invece, molti credevano che l’iniziativa «si sarebbe limitata a Lugansk e Donetsk. O che sarebbe stata condotta diversamente. Nell’Fsb c’è un’ossessione per i raid Nato in Jugoslavia del ‘99. Il successo dell’operazione li ha convinti che basti bombardare un Paese per sovvertirne gli equilibri. Pensavano di replicare quel modello. Invece Putin ha fatto diversamente: lanciato raid aerei e mandato truppe di terra. E ha fatto cilecca».

Ma quello che sta succedendo è un sintomo della presenza di crepe nel muro del potere dello Zar: «Quest’operazione è totalmente diversa dal passato. Gli apparati del potere erano tutti d’accordo con l’invasione della Georgia nel 2008 e l’annessione della Crimea nel 2014. Stavolta no. E pensano ci sia solo Putin da incolpare. Non si tratta ancora di crepe o di una resistenza aperta, ma di presa di distanza. Si sentono tutti vittime degli errori di Putin. E stanno opponendo una resistenza passiva. Resta da vedere a che cosa porterà».

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