Ucraina, M5s contro il governo Draghi: «Dica quanto ci costeranno le armi nei prossimi anni». Ma c’è già una ipotesi di mediazione
Fatta la rottura, trovata la mediazione che, nonostante i duri formalmente duri, era già nell’aria. Ha preso il via l’ufficio di presidenza delle commissioni Difesa e Esteri del Senato per stabilire il prosieguo dei lavori sul decreto Ucraina. Il provvedimento è atteso in Assemblea a Palazzo Madama alle 18, e potrebbe arrivare in Aula senza il mandato al relatore nella forma approvata dalla Camera, come spiegato da Maurizio Gasparri, relatore in commissione, non essendo arrivati pareri sugli emendamenti dalla commissione Bilancio. Un’opzione auspicata dal M5s, che vorrebbe arrivare in Aula senza relatore, per poter votare il testo già approvato alla Camera e sul quale per loro sarebbe più difficile far mancare la fiducia, qualora il governo, come sembra confermato, dovesse effettivamente porla. Se non ci sarà il relatore, infatti, il decreto non conterrà più l’ordine del giorno di Fratelli d’Italia che impegna a far salire le spese militari al 2 per cento del Pil.
«È curiosa e davvero straordinaria la dovizia di particolari con cui “fonti di palazzo Chigi” hanno ricostruito la spesa militare italiana. La stessa meticolosità andrebbe usata per dare notizia del previsto incremento delle spese militari per gli anni 2023 e 2024, che rappresentano il fulcro del confronto di questo giorni». si leggeva nella nota del Movimento Cinque Stelle dopo la riunione dei suoi senatori, alla presenza di Giuseppe Conte (rieletto leader il 28 marzo) per fare il punto sul tema delle spese militari in vista del voto sul Dl Ucraina. «Con i governi Conte le spese per le armi sono aumentate di circa 1 miliardo l’anno, se resta l’obiettivo del 2024 con Draghi l’aumento sarà di 6 miliardi l’anno», continua la nota. Subito dopo, su Facebook, era intervenuto lo stesso Conte scrivendo: «È impensabile una corsa al riarmo ora. È fuori dalla realtà pensare di aumentare di almeno 12/15 miliardi la nostra spesa militare in due anni. L’impegno del 2 per cento può essere centrato solo con una crescita di spesa progressiva, spalmata nei prossimi anni, ad esempio da qui a quantomeno il 2030».
«Non mettiamo in discussione gli impegni internazionali – si leggeva, invece, sul post del M5s – come quello del 2 per cento del Pil per investimenti militari, ma la tempistica stabilita in via indicativa nel 2014, cioè in un’altra era politica, sociale ed economica va rimodulata alla luce delle gravi crisi ancora in atto, pandemica ed energetica. Noi diciamo che quel target, che solo dieci membri Nato su trenta (tra cui Usa e Uk) hanno finora raggiunto, non può essere considerato un dogma indiscutibile a cui inchiodare le nostre scelte di spesa pubblica in un momento in cui le priorità sono altre. Noi diciamo semplicemente, come tra l’altro aveva detto lo stesso ministro della Difesa Guerini nel 2019, prima della pandemia sanitaria ed energetica, che raggiungere questo obiettivo entro il 2024 è insostenibile e irrealizzabile nel pieno di una crisi economica e sociale con pochi precedenti».
Cosa ha detto Conte negli ultimi giorni
Negli ultimi giorni l’ex premier si è schierato contro l’aumento delle spese militari prospettato dal governo Draghi. L’ex premier lo ha ribadito persino il giorno prima delle votazioni per la scelta del leader del Movimento (elezioni in cui ha stravinto): «Sarò il presidente che dirà no all’aumento massiccio delle spese militari», aveva detto. Il premier Mario Draghi lo ha incontrato martedì 29 marzo per fare il punto della situazione: subito dopo il colloquio a due, Palazzo Chigi ha fatto sapere che «se si mettono in discussione gli impegni assunti, in un momento così delicato alle porte dell’Europa, viene meno il patto di maggioranza». Nei retroscena è saltata fuori una frase del premier a Conte: «Mi stai chiedendo di rinnegare gli impegni che tu hai rispettato?». In ogni caso la discussione dovrà trovare un punto di caduta domani 31 marzo quando il dl Ucraina che, tra l’altro, ha recepito l’ordine del giorno di Fratelli d’Italia che parla esplicitamente dell’aumento delle spese militari fino al 2 per cento del Pil, sarà votato dall’aula del Senato.
La rielezione di Conte
L’ex premier è stato votato da 55.618 iscritti su un totale di 59.050 votanti (anche se gli aventi diritti sarebbero più del doppio, 130.570; manca di fatto una fetta consistente di voti). Il voto si è reso necessario dopo che il tribunale di Napoli, il 7 febbraio scorso, ha sospeso le due delibere con cui il M5s aveva modificato il suo statuto indicando poi Conte come presidente. A fare ricorso in quel caso erano stati alcuni attivisti, tra cui Steven Hutchinson, Renato Delle Donne e Liliana Coppola. Problemi, anche piuttosto importanti, c’erano stati anche con Rousseau che aveva bacchettato gli «autoproclamatosi dirigenti del Movimento» accusandoli di «proseguire la loro azione in violazione delle regole associative e delle decisioni degli iscritti», avviando le votazioni su Sky Vote.
Foto in copertina: ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
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