Ucraina, voci dall’inferno di Bucha: il racconto di chi ha visto morire familiari e vicini di casa
A Bucha, appena fuori Kiev, almeno 300 persone sarebbero sepolte nelle fosse comuni, e i corpi di 20 civili sono stati rinvenuti in strada con le mani legate. Alcune ore dopo le notizie trapelate dalla città ucraina liberata dalle forze russe, il Guardian ha raccolto le testimonianze di alcuni abitanti. Halyna, 55 anni, sta ancora cercando il corpo di suo marito, Oleg, 62 anni, morto per mano dei russi il 5 marzo a Bucha, mentre con un’altra famiglia stavano tentando di fuggire da quell’inferno. Avevano deciso di lasciare quella piccola cittadina, erano in viaggio quando le due auto in cui viaggiavano sono state prese di mira da un blindato russo. Nelle auto c’erano Oleksandr con la moglie Margarita e i due figli di 8 e 4 anni. Dietro, invece, in un’altra auto, c’erano Oleg, la moglie Halyna e Tetiana, madre della moglie di loro figlio, Roman. A sopravvivere sono stati Oleksandr (che ha perso una gamba, mentre la moglie e i figli sono stati uccisi) oltre ad Halyna, Tetiana e suo figlio Roman. Oleg, invece, non ce l’ha fatta e il suo corpo è rimasto in auto per cinque giorni visto che i russi non avrebbero permesso che fosse rimosso. Roman, adesso, vuole trovare il corpo di suo padre.
«Mi hanno detto: “Facciamo solo il nostro lavoro”»
Il Times, invece, parla della storia di Maria Dabizhe, 80 anni. I russi erano arrivati a Bucha pochi giorni dopo l’inizio della guerra. «Sono venuti a casa mia. Ho chiesto loro cosa stessero facendo lì», ha detto. «Mi hanno detto: “Stiamo solo cercando di fare il nostro lavoro”». Quando le hanno portato del cibo, lei lo ha preso. Nel frattempo assisteva, impotente, ai bombardamenti. Successivamente, quando i soldati hanno cominciato a ritirarsi, combattendo senza sosta contro gli ucraini, Maria ha capito quello che era successo davvero in quei giorni, e ha scoperto che i suoi vicini erano stati legati e giustiziati.
Foto in copertina: EPA/ROMAN PILIPEY
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