Le storie di donne e bambini torturati e uccisi a Irpin: «Una ragazzina marchiata con la Z, un’altra stuprata per giorni»
Tra le città in cui secondo le accuse dell’Ucraina ci sono civili torturati e uccisi dai russi le testimonianze maggiori arrivano da Irpin. Ieri il difensore civico ucraino Lyudmila Demisova ha parlato su Telegram di «bambini di meno di 10 anni uccisi con segni di stupro e tortura trovati nella città. Nella regione di Kiev, il ‘campo per bambini di Prolisok’ ha ospitato per tre settimane la base di un’unità dell’esercito razzista. Nel seminterrato sono stati trovati cinque cadaveri di uomini con le mani legate dietro la schiena. Sono stati torturati e poi uccisi a sangue freddo. Una delle vittime aveva il cranio schiacciato». Ma non c’è solo questo.
Le violenze sulle donne
*Repubblica racconta in un articolo di Brunella Giovara la testimonianza di una donna, Alina, sui suoi vicini di casa: «I grandi sono stati fucilati dai russi. Sono rimasti un bambino e sua sorella, che sono stati violentati a lungo, poi uccisi. I corpi sono stati recuperati, e hanno fatto l’autopsia anche per raccogliere le tracce organiche degli stupratori». Alina racconta che a una ragazza è stata disegnata una Z sul ventre. Poi c’è la storia di una ragazzina di 15 anni: dopo essere entrati in casa e aver ferito la madre i russi l’hanno chiusa in una stanza e l’hanno usata come schiava per dieci giorni. La madre, perdendo sangue, ci ha messo due giorni a morire. La ragazzina ha urlato senza che nessuno venisse in suo soccorso. Un soldato ha ripreso gli stupri con il cellulare.
Anna Zafesova su La Stampa racconta che a Mykolaiv ieri sulle chat locali è tornata a circolare una foto delle bambine trapassate da schegge scattata dalla giornalista russa Elena Kostiuchenko nell’obitorio cittadino. È stata quella foto, probabilmente, a far decidere la chiusura dell’ultimo giornale indipendente di Mosca, Novaya Gazeta. La sottosegretaria generale delle Nazioni Unite, Rosemary DiCarlo, nel riferire di fronte al Consiglio di Sicurezza delle accuse di violenze sessuali, anche «stupri di gruppo e di fronte a bambini» nei confronti delle forze russe, ha detto che l’Onu ha ricevuto «anche denunce di violenze sessuali commesse da membri delle forze ucraine e delle milizie di difesa civili». La missione dell’Onu per i diritti umani in Ucraina sta continuando ad indagare per verificare queste accuse, ha aggiunto DiCarlo.
L’ospedale di Chernihiv
L’agenzia di stampa Afp ha raccontato invece le pitture sui muri di un ospedale. Dopo che le bombe russe hanno iniziato a cadere il 24 febbraio, i pazienti minorenni sono venuti nell’ospedale e hanno imbrattato i muri per passare le ore e i giorni. Alcuni hanno scritto i loro nomi dentro la silhouette di un gruppo di palloncini: Myroslava, Vasylyna, Glasha, Ulya. «Non li ho contati, ma erano parecchi», ha raccontato Natalia, 30 anni, membro delle forze di difesa territoriale dell’ucraina, a malapena visibile nel buio soffocante. «Siamo molto grati che i bambini siano stati portati fuori prima che non ci fosse elettricità, acqua e riscaldamento», ha aggiunto. «Non tutti, ma la maggior parte dei bambini sono stati portati fuori prima che tutti questi benefici della civiltà scomparissero. Hanno avuto la possibilità di sopravvivere».
Le forze di Mosca non sono riuscite a prendere la città, che però è stata colpita dall’artiglieria e dagli attacchi aerei per più di un mese prima che le truppe si ritirassero nei giorni scorsi, raggruppandosi per un’offensiva nell’Ucraina orientale. Anche l’ospedale pediatrico è stato colpito. Ora viene usato per immagazzinare le forniture di aiuto. I bambini, tra cui i malati di cancro, non sono più qui. Sono stati portati a sud. «Le bombe a grappolo volavano, abbiamo tracce di queste bombe», ha detto Olena Makoviy, 51 anni. «I feriti sono stati portati all’ospedale pediatrico, sia adulti che bambini. Hanno portato ragazzi, belli, giovani, ma non più vivi».
*Edit: Questo articolo riportava inizialmente il seguente contenuto: «La parlamentare Lesia Vasylenko ha pubblicato la foto di una donna marchiata con la svastica: l’immagine ritraeva la pancia di un cadavere femminile sfregiato». Seppur Lesia Vasylenko non indicasse nel suo tweet il luogo di provenienza dello scatto, la foto non è legata alle altre vicende narrate in questo articolo. Lo scatto, in realtà, riguarda una persona trovata morta a Mariupol. Per questo motivo abbiamo rimosso il tweet e corretto l’articolo.
Per quanto riguarda la vicenda di Alina, nel tardo pomeriggio del 6 aprile pubblica un nuovo post Facebook dove annuncia di aver nascosto il precedente dal suo profilo a causa della risonanza della storia, un po’ anche per l’ondata d’odio da lei ricevuta. Alina racconta che lo renderà nuovamente pubblico una volta che i suoi parenti le permetteranno di pubblicare le prove in modo che nessuno ponga ulteriori domande. Staremo a vedere.
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