Lockdown a Shanghai: a rischio la catena di approvvigionamento globale e l’inflazione potrebbe aumentare ancora
I 26 milioni di abitanti di Shanghai sono chiusi in casa, così come lo erano gli italiani a marzo 2020. Negli ultimi dieci giorni i casi di Coronavirus sono aumentati esponenzialmente nella megalopoli, raggiungendo il picco storico nel Paese di oltre 25 mila nella giornata di domenica 10 aprile. Cifre del genere non sembrano particolarmente significative se paragonate a quelle dei paesi europei, ma assumono un valore completamente diverso se si considera che la Cina continua ad adottare una politica definita “zero-Covid”: tutti i casi devono essere tracciati, e tutti i positivi devono essere isolati in strutture apposite per stroncare sul nascere la diffusione della malattia. Questo sistema ha funzionato abbastanza bene finora, riporta il Guardian, ma le cose hanno preso a peggiorare significativamente da quando la Repubblica Popolare ha iniziato a fare i conti con Omicron. La maggiore trasmissibilità della variante fa sì che il virus filtri anche attraverso le strette maglie del tracciamento cinese, con il risultato che Shanghai, sede del più grande porto al mondo, si trova completamente paralizzata. E il virus non accenna a fermarsi.
I problemi a manifattura e servizi in Cina
Il lockdown ha scatenato proteste, carenze di cibo, e sono nate controversie sui metodi adottati dalle autorità sanitarie per costringere le persone a casa (ne abbiamo parlato qui e qui). Oltre a ciò, più persone a casa si traduce in meno persone che lavorano, e questo è un problema per l’economia cinese. Gli indici sui servizi e le manifatture elaborati dal gigante dell’informazione nazionale Caixin sono tra gli indicatori più affidabili dello stato di salute dell’economia del Paese, e da febbraio a oggi sono crollati, evidenziando difficoltà sia nei servizi sia nella manifattura. Un altro segnale delle tribolazioni dell’economia cinese è che la maggior parte dei mercati asiatici, nei giorni scorsi, ha chiuso in netta perdita. Le fabbriche, insomma, producono meno. Il porto, al momento, continua a operare grazie a una bolla creata tra gli operai che ci lavorano, che non possono avere contatti con l’esterno, ma il trasporto su strada sta soffrendo e ci sono sempre meno merci da spedire, con conseguenze a catena sulle economie asiatiche, che potrebbero ripercuotersi sui mercati globali – hanno spiegato esperti del settore al Guardian – già messi a dura prova dalla guerra tra Russia e Ucraina.
Le ripercussioni sull’inflazione
In molti paesi europei l’inflazione è cresciuta moltissimo nell’ultimo periodo, passando nell’Eurozona da valori negativi di dicembre 2020 al 7,5% di Marzo 2022, anche a causa dell’aumento dei prezzi derivante dai problemi che affliggono la catena di approvvigionamento globale. Ma la soluzione apparentemente più ovvia – diversificare le fonti di approvvigionamento di beni manifatturieri andando oltre la Cina – potrebbe non essere praticabile, ha avvertito Agustín Carstens, a capo della Bank for International Settlements (l’istituzione finanziaria che alla quale collaborano 61 banche centrali mondiali, tra cui le principali banche nazionali europee e la Federal Reserve Americana), in quanto c’è il rischio che i costi della transizione si riflettano sui prodotti finiti, innescando un circolo di ulteriori aumenti dei prezzi difficile da interrompere.
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