Cosa succede se Putin chiude i rubinetti: il piano del governo per il razionamento del gas
Cosa succede se Putin chiude i rubinetti? L’accordo con l’Algeria consente all’Italia di fare un piccolo passo verso l’indipendenza dal gas di Mosca. Ma non basta. Per questo il governo Draghi lavora a un piano B. Che prevede il razionamento dei consumi oltre che la ricerca di altri fornitori per sostituire la Russia. Decisioni che avranno un fortissimo impatto sulla vita dei cittadini. Ma che vanno oggi almeno immaginate in attesa del worst case scenario: ovvero quello di un Occidente che rinuncia al gas e al petrolio russo per fermare la guerra. Oppure quello di uno Zar che decide di chiudere i rubinetti a maggio o a giugno.
Worst case scenario
Potrebbe succedere per rappresaglia nei confronti delle sanzioni dell’Occidente. O perché la situazione della Russia sui mercati finanziari potrebbe precipitare: un’avvisaglia che a Mosca hanno sperimentato con il default dichiarato delle Russian Railways. Per questo ieri subito dopo la firma del trattato di Algeri a Palazzo Chigi si sono riuniti il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli, il ministro dell’Economia Daniele Franco, il sottosegretario con delega ai servizi segreti Franco Gabrielli e gli esperti del ministero della Transizione Ecologica guidato da Roberto Cingolani. Con loro, racconta oggi Repubblica, c’erano anche l’amministratore delegato di Terna Stefano Donnarumma, l’amministratore delegato di Snam Marco Alverà e il suo successore Stefano Venier.
I numeri di partenza sono noti. L’Italia ha un fabbisogno tra i 75 e gli 80 miliardi di metri cubi di gas. Di questi circa 29 provengono dalla Russia. Entro il 2024 l’Algeria incrementerà di 9 miliardi la quota di gas che venderà all’Italia. Libia e Azerbaijan ne porteranno altri due a testa. Via nave, attraverso gli accordi con Qatar, Egitto e Stati Uniti ne dovrebbero arrivare altri sei. Ma stiamo parlando comunque della fine del 2023 come migliore delle ipotesi. Ecco perché l’esecutivo ragiona anche intorno all’ipotesi di mettere in campo altri interventi. Ovvero l’aumento della produzione nazionale, che potrebbe portare altri due miliardi in più, e il potenziamento delle centrali a carbone. Ma siccome tutto questo non basta e comunque bisognerà attendere, ecco l’idea dei razionamenti.
Termosifoni e condizionatori
Un assaggio è stato fornito dall’emendamento presentato dal Movimento 5 Stelle e riformulato dal governo che già da oggi stabilisce che «la media ponderata delle temperature» nei singoli ambienti degli edifici pubblici non debba «superare i 19 gradi centigradi +2 gradi di tolleranza» in inverno. E che non possa essere «minore di 27 gradi centigradi + 2 gradi di tolleranza» in estate. Dalle nuove regole sono esclusi ospedali, cliniche e case di cura. Ma il piano B del governo per il razionamento del gas prevede azioni più incisive. Una di queste è il taglio dell’illuminazione degli edifici, dei monumenti e dei luoghi pubblici, previsto dal piano d’emergenza di Cingolani. Ma sul tavolo, spiega oggi Tommaso Ciraco, c’è anche un altro scenario.
Ovvero quello che prevede la rimodulazione dell’attività industriale di alcune filiere. Con l’obiettivo di mantenere invariato il livello di produzione razionalizzando l’operatività delle fabbriche. I settori primariamente interessati sono quelli dell’acciaio e delle ceramiche. Le filiere che producono a ciclo continuo possono concentrare la produzione in alcuni periodi dell’anno, per ottenere così un risparmio utilizzando meno energia. Questo per iniziare. «Ma se domani dovessimo mette in pratica l’embargo al gas russo ci attende un razionamento più forte», avverte Davide Tabarelli, professore di economia e presidente di Nomisma Energia, in un’intervista a La Stampa. «Ovvero non dare gas alle fabbriche, alle scuole, alle amministrazioni pubbliche», aggiunge.
Scuole senza riscaldamento?
Per Tabarelli «con una temperatura più bassa si può sperare nella migliore delle ipotesi di tagliare un miliardo di metri cubi. Ci sono 29 miliardi di metri cubi di gas russo da sostituire. Perciò bisogna far lavorare meno le fabbriche, utilizzare più carbone se i sindaci delle città dove ci sono le centrali ce lo lasciano fare. Quindi cercare di usare tutti i prodotti petroliferi al posto del gas e la legna nelle aree rurali, ma vanno tolti subito i vincoli ambientali sulla polveri sottili. Alla fine arriviamo a 15-20 miliardi». Un’altra opportunità è quella di «utilizzare il gas liquefatto, però anche in questo caso ci vuole tempo per gli impianti di rigassificazione. Non resta che il razionamento».
Intanto c’è una buona notizia per le famiglie. Il sottosegretario all’Economia Federico Freni dice oggi in un’intervista a Il Messaggero che il governo sta preparando un decreto da cinque miliardi per dare continuità alle politiche di sostegno come la proroga del taglio delle accise, la riduzione dell’Iva sul gas e l’azzeramento degli oneri di sistema per le categorie più deboli, oltre al supporto per le industrie energivore. «Stiamo lavorando al testo che sarà presentato dopo l’approvazione del Documento di Economia e Finanza. Il governo metterà in campo tutte le risorse necessarie», sottolinea Freni. Anche perché il Def prevede uno scenario con l’embargo del gas da Mosca: in quel caso i prezzi schizzerebbero a 200 euro al megawattora. Con il risultato di far esplodere l’inflazione e portarci di nuovo in recessione.
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