Plasma iperimmune, De Donno è stato riabilitato dal New England Journal of Medicine? Ecco cosa dice lo studio
[Aggiornamento 16 aprile: Questo articolo è stato rivisto a seguito dei pareri ricevuti da parte del Dott. Daniele Focosi, in qualità di co-investigatore dello studio Tsunami, che ringraziamo]
Il 30 marzo appare sul New England Journal of Medicine uno studio sul plasma iperimmune usato contro la Covid-19. Nonostante il paper si inserisca nel filone di studi già noti che suggeriscono una certa efficacia, tale lavoro non può certo “riabilitare” la terapia proposta da Giuseppe De Donno intesa come miglior arma per curare le forme gravi di Covid-19. A inizio aprile leggiamo: «De Donno aveva ragione. Studio americano conferma che la terapia funziona: salva vite e costa poco», titola Il Secolo d’Italia, rifacendosi a un articolo de La Verità. «Il medico vittima di un immotivato attacco mediatico si tolse la vita, ma la sua cura con il plasma convalescente funziona e costa poco», riporta Affaritaliani. Lo stesso studio è stato riportato durante un recente servizio del 13 aprile de Le Iene dal titolo «Plasma iperimmune, De Donno aveva ragione».
Per chi ha fretta:
- Lo studio in oggetto per come è stato condotto non “ribalta” le nostre conoscenze sull’efficacia del plasma iperimmune.
- Lo studio in oggetto non è collegabile all’operato di Giuseppe De Donno per il quale venne contestato attraverso i media.
- Ampi studi mirati a confrontare il trattamento con altri già approvati hanno escluso una maggiore efficacia.
- Il plasma iperimmune ha dei limiti, come riporta Avis: «risulta molto improbabile pensare di poter guarire tutti i pazienti di coronavirus del mondo attraverso delle trasfusioni di plasma iperimmune che, come detto sopra [il riferimento è all’alto “titolo anticorpale”, n.d.r.], deve rispondere a requisiti molto rigidi che non tutti i pazienti guariti hanno».
- Il plasma iperimmune risulta uno strumento utile per coloro che hanno problemi relativi al proprio sistema immunitario (es. immunocompromessi).
Analisi
Ci sono delle sostanziali differenze tra questo studio e altri svolti in passato, come quello noto come studio Tsunami, pubblicato lo scorso 2021, e altri come quello pubblicato sempre dal New England Journal of Medicine nel novembre 2020.
Lo studio pubblicato dal New England Journal of Medicine riguarda pazienti ambulatoriali, non pazienti ospedalizzati come quelli dello studio Tsunami. A rimarcarlo è il Dott. Daniele Focosi, in qualità di co-investigatore dello studio Tsunami: «Lo studio Tsunami era rivolto a pazienti ospedalizzati (non ambulatoriali) e confrontava il plasma convalescente col placebo». Focosi ci ricorda, inoltre, che nello studio Tsunami «il plasma veniva trasfuso non a pazienti ambulatoriali ma a pazienti ospedalizzati (in media dopo 8 giorni dell’esordio dei sintomi, il che sappiamo oggi che è troppo tardi)».
Lo studio al quale ha partecipato Giuseppe De Donno, pubblicato nel 2020 nella rivista Haematologica, non trattava affatto i pazienti ambulatoriali e in una fase precoce: «The study observed 46 patients from March, 25 to April, 21 2020. Patients were aged 63, 61% male, of them, 30 were on CPAP and 7 intubated». Il contesto in cui lavorava De Donno era quello emergenziale, dove si tentava l’utilizzo del plasma iperimmune nel tentativo di salvare le vite dei pazienti ospedalizzati e in condizioni gravi.
Ecco le dichiarazioni di De Donno durante un’audizione in videoconferenza al Senato: «Abbiamo deciso di utilizzare il plasma iperimmune di pazienti convalescenti in pazienti gravi, con una sindrome da distress respiratorio acuto del polmone, quindi pazienti che necessitavano di ventilazione meccanica e ossigenoterapia».
Un altro elemento da tenere in considerazione è che il recente studio è stato fatto su adulti sintomatici che risultavano positivi indipendentemente dai loro fattori di rischio e dallo stato vaccinale («regardless of their risk factors for disease progression or vaccination status»). Gli autori sostengono che la maggior parte erano non vaccinati e che gran parte di quelli ospedalizzati, nonostante il plasma, erano non vaccinati: «Evidence of efficacy in vaccinated participants cannot be inferred from these data because 53 of the 54 participants with Covid-19 who were hospitalized were unvaccinated and 1 participant was partially vaccinated».
Il plasma come migliore arma contro la Covid-19?
Questo studio non “riabilita” la terapia intesa come miglior arma contro le forme gravi di Covid-19, in quanto tratta pazienti ancora in fase iniziale. Come ci riporta il Dott. Focosi «l’efficacia del plasma convalescente nel ridurre il rischio relativo di ospedalizzazione è risultata, se somministrato entro 5 giorni, dell’80%», confermando quanto riportato in un nostro articolo del 2021: «Ad oggi non vi sono conferme che la terapia del plasma iperimmune sia efficace nei confronti dei pazienti gravi, mentre risulterebbe utile nelle fasi precoci».
Secondo gli autori dello studio, la sperimentazione svolta risulterebbe utile nelle aree dove la vaccinazione non è ben distribuita e il plasma potrebbe essere usato per le fasi iniziali nelle future pandemie mentre vengono sviluppate ulteriori terapie. Gli autori, inoltre, auspicano che i sistemi sanitari si adoperino per la creazione di centri di somministrazione per i pazienti ambulatoriali durante le prossime pandemie («The establishment of infusion centers that can rapidly administer Covid-19 convalescent plasma for outpatients during pandemics may be a consideration for future health care systems»).
Le differenze tra i periodi
Nello studio dove è presente la firma del Dott. Giuseppe De Donno c’è anche quella del Dott. Massimo Franchini che, come riportiamo in un articolo del 2020, riportava uno dei limiti principali del plasma iperimmune: «Il limite principale è individuare i donatori guariti e arruolabili». Seppur fossero in molti i malati Covid-19 durante l’inizio della pandemia, l’alto numero non bastava. «Non tutti i convalescenti hanno alti livelli anticorpali e/o sono idonei a donare, che era sicuramente vero all’inizio della pandemia» ci scrive ancora il Dott. Focosi, confermando quanto riportato da Avis (da noi citata nel 2021): «risulta molto improbabile pensare di poter guarire tutti i pazienti di coronavirus del mondo attraverso delle trasfusioni di plasma iperimmune che, come detto sopra [il riferimento è all’alto “titolo anticorpale”, n.d.r.], deve rispondere a requisiti molto rigidi che non tutti i pazienti guariti hanno».
Gli stessi autori dello studio rimarcano le differenze, specificando che l’arrivo e la disponibilità dei monoclonali nel 2020 ha fatto sì che venisse ridotto il numero delle persone idonee a ricevere il plasma. Lo stesso vale per le vaccinazioni, che hanno abbassato la frequenza dei ricoveri. Rimane un elemento, quello relativo alle nuove varianti, dove il plasma iperimmune può essere ottenuti con maggiore rapidità rispetto a un monoclonale “aggiornato”. Inoltre, risulta uno strumento utile per coloro che hanno problemi relativi al proprio sistema immunitario (es. immunocompromessi).
Le condizioni, rispetto al primo periodo pandemico in cui lavorava Giuseppe De Donno, diventando noto per la sua attività, sarebbero però cambiate. Secondo Focosi: «Oggi, a pandemia ancora galoppante, buona parte della popolazione di donatori regolari di plasma è non solo convalescente ma anche triplamente vaccinata (fenomeno che aumenta esponenzialmente il contenuto e la potenza degli anticorpi contro le varianti)».
C’è o non c’è una “riabilitazione” del plasma iperimmune?
Agli inizi della pandemia, in assenza di altre armi a nostra disposizione, la terapia basata sul plasma dei convalescenti era praticamente l’unico tentativo per trovare una soluzione, ma non è risultata utile per coloro che avevano già sviluppato una forma grave.
Leggiamo come commenta lo studio il collega Daniele Banfi della Fondazione Veronesi su Twitter:
Non c’è nessuna riabilitazione del “plasma iperimmune”. Come sempre si prende uno studio e lo si estrapola dal contesto per portare avanti la propria tesi del complotto contro De Donno […] L’utilizzo del plasma iperimmune non è una novità scientifica. […] Per quanto riguarda Sars-Cov-2 l’idea è la seguente: prendiamo il plasma dei guariti e somministriamolo a chi sta male in modo tale che gli anticorpi del guarito riescano a neutralizzare il virus nel malato […] 1)per avere plasma iperimmune devo avere malati. 2) solo il 30% dei donatori risulta idoneo 3) il plasma va somministrato endovena il prima possibile. Più virus neutralizzo e meno saranno i danni. Il tempismo è tutto. […] Veniamo dunque alla realtà: a marzo 2020 ricordate cosa erano gli ospedali? Chi pensa che di fronte a migliaia di morti qualcuno potesse riuscire a produrre plasma iperimmune da somministrare a pazienti nemmeno ricoverati vive su un altro pianeta. In conclusione: nessuna riabilitazione del plasma iperimmune. Può servire nei pazienti ai primissimi stadi di infezione. Oggi il suo utilizzo può considerarsi del tutto superato poiché abbiamo a disposizione armi ben più efficaci e meno problematiche. /fine
Il problema, come evidenzia lo stesso Banfi, è il paragone con Giuseppe De Donno. Abbiamo visto che lo studio tratta un tipo di paziente con diverse caratteristiche da quello trattato dal medico di Mantova. Gli studi finora condotti non confermano un’efficacia del plasma iperimmune contro le forme gravi, ma continuano a sostenere il suo uso in fase precoce.
Riportiamo di seguito gli articoli da noi pubblicati sul plasma iperimmune, in ordine cronologico:
- Coronavirus. La cura col plasma funziona? Si, ma ci sono dei limiti e la ricerca continua (3 maggio 2020)
- Il plasma iperimmune non funziona sui pazienti gravi. La conferma arriva dallo studio Tsunami (10 aprile 2021)
- Plasma iperimmune, a che punto è la sperimentazione della terapia contro la Covid-19 (28 luglio 2021)
- No, un recente studio non dimostra l’efficacia del plasma iperimmune contro i casi gravi di Covid (20 gennaio 2022)
Lo studio RESCUE successivo alle critiche
C’è un secondo studio effettuato da Giuseppe De Donno, pubblicato nel 2021, citato in un nostro articolo del 28 luglio 2021:
Giuseppe De Donno, insieme ai medici dell’ospedale di Mantova, pubblicò nel febbraio 2021 uno studio nella rivista Mayo Clinic Proceedings: Innovations, Quality and Outcomes, dalla Fondazione Mayo Clinic di Rochester del Minnesota. Intitolato RESCUE, la terapia utilizzata avrebbe dimostrato una riduzione della mortalità del 65% nei pazienti trattati. Basato su 22 pazienti anziani con infezione da Covid19, non risulta essere uno studio randomizzato, bensì uno studio prospettico.
Il comitato etico locale aveva approvato lo studio in data 15 maggio 2020, data successiva alle contestazioni a lui rivolte e alle teorie del complotto diffuse sul suo account Facebook. Il secondo studio, al contrario della terapia ospedaliera nei casi gravi portata avanti con il primo, non è stato considerato e seguito in ambito mediatico.
Conclusioni
Lo studio punta a promuovere, in caso di future pandemie, un utilizzo del plasma iperimmune durante le fasi precoci della malattia, oltre a suggerirlo a seguito della circolazione delle varianti locali che possono resistere agli anticorpi monoclonali disponibili nel momento. I pazienti arruolati, inoltre, non erano ospedalizzati e trattati in fase ambulatoriale. Visto quanto riscontrato, il paper conferma quanto già si conosce sul plasma iperimmune nelle fasi precoci, ma non conferma la sua efficacia nei pazienti gravi sui quali si era concentrato a inizio pandemia Giuseppe De Donno.
Open.online is working with the CoronaVirusFacts/DatosCoronaVirus Alliance, a coalition of more than 100 fact-checkers who are fighting misinformation related to the COVID-19 pandemic. Learn more about the alliance here (in English).
EDIT: Questo articolo è stato rivisto (archiviato qui) a seguito dei pareri ricevuti da parte del Dott. Daniele Focosi, in qualità di co-investigatore dello studio Tsunami, che ringraziamo.
Leggi anche:
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