«Le donne ucraine violentate dai soldati non possono abortire in Polonia»
La cittadina polacca Krystyna Kapkura è avvocata, attivista e direttrice della Federazione per la pianificazione delle famiglie e delle donne. E racconta oggi a Repubblica che il suo telefono squilla da giorni. Dall’altro capo del filo ci sono donne ucraine stuprate dai soldati russi che vogliono abortire. Ma non possono farlo. Kiev consentiva di abortire fino alla dodicesima settimana. Ma ora sono in Polonia e la cosa si fa più difficile. Hillary Margolis di Human Rights Watch ha raccontato ai media polacchi che «le ucraine non sono abituate alle nostre restrizioni: c’è molta paura e ansia tra di loro». Nel paese si può abortire in pochissimi casi. Non è possibile farlo se il feto è morto o malformato o se la madre rischia la vita. E a dicembre dello scorso anno è fallito un blitz del partito di governo per vietarlo anche in caso di stupro o incesto. Ma secondo i volontari che operano nel paese anche così è difficile trovare medici che lo pratichino.
Oleksandra Matviichuk, attivista del centro per le libertà civili ucraina, ha scritto su Twitter che c’è bisogno di un processo penale per stupro per avere la possibilità di abortire nel paese. Justyna Wydrzynska, attivista di “Aborto senza frontiere”, è sotto processo per aver spedito a una donna una pillola per abortire: «Novantanove ucraine mi hanno già contattato dal 1 marzo chiedendo come abortire o come avere una pillola del giorno dopo», dice. E aggiunge: «I volontari che sono andati a Bucha hanno detto che le donne stuprate lì hanno paura di venire in Polonia. Conoscono le nostre leggi e le temono. Piuttosto cercano di arrangiarsi lì, in un Paese ancora devastato dalla guerra».
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