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Mascherine a lavoro e sui trasporti dopo il primo maggio: il governo verso la linea della prudenza

20 Aprile 2022 - 09:37 Giada Giorgi
Dal primo maggio il governo Draghi sarà chiamato a decidere le nuove tappe del piano di allentamento delle misure anti Covid. L'addio alle mascherine al chiuso divide anche gli esperti

La stagione calda si avvicina e il piano di misure anti Covid si avvia verso un ulteriore alleggerimento. È dal primo maggio che il governo Draghi sarà chiamato a stabilire nuove regole per obbligo di Green pass e mascherine. La decisione prevista nei prossimi giorni comincia già da adesso a impegnare il ministro della Salute Roberto Speranza che nelle prossime ore potrebbe consultarsi con i suoi tecnici in preparazione alla futura Cabina di regia. Uno dei temi centrali sarà quello dello stop alle mascherine al chiuso. Se sull’addio al Green pass la linea del ministero è apparsa più flessibile, sui dispositivi da indossare per proteggere se stessi e gli altri dal possibile contagio sembrano esserci ancora notevoli pressioni. Il timore è quello di una scelta prematura che possa compromettere i mesi futuri in termini di varianti, contagi e ricoveri.

I luoghi che preoccupano

I due punti nevralgici da discutere in Cabina di regia saranno l’addio alla mascherina nei luoghi di lavoro e sui mezzi di trasporto pubblici. Sul primo fronte il “liberi tutti” sperato da molti sarà piuttosto difficile da ottenere già da maggio. Entrare in un ristorante o lavorare in un ufficio pieno di colleghi sarà con tutta probabilità ancora considerato troppo rischioso per non proteggersi dal virus. A questo proposito esiste già un accordo con ministero del Lavoro, sindacati e rappresentanti dei datori per lasciare l’obbligo di dispositivo anti Covid nei confronti di tutti coloro che hanno un impiego che prevede la condivisione di spazi con i colleghi. O ancora per chi esercita attività in luoghi a stretto contatto con il pubblico: supermercati, negozi, ristoranti. Anche per quanto riguarda i trasporti la linea del ministero sembra essere la stessa.

Se in generale il sottosegretario alla Salute Andrea Costa preme per il ritorno al vecchio sistema di persuasione, «togliere l’obbligo di mascherina al chiuso e sostituirlo con la raccomandazione», sui mezzi pubblici in particolare invece preferisce mettere un freno. «Su bus, metro e treni è ancora necessaria una protezione maggiore», dice. Dal canto suo anche l’Istituto superiore di sanità sembra sposare la linea della prudenza. «La decisione sulla possibilità di non utilizzare le mascherine nei luoghi al chiuso dal primo maggio verrà presa dal Governo e conterà molto il parere del ministro Roberto Speranza, ma vorrei ricordate che in determinate situazioni le mascherine servono e servono in maniera evidente», ha ribadito il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli, sottolineando come trasporti pubblici e luoghi di lavoro siano i primi contesti in cui sarà opportuno continuare a proteggersi.

Le strade possibili

Ma se per i ristoranti, negozi, cinema e teatri il ministero del Lavoro ha fatto i suoi accordi, l’interrogativo che il governo dovrà porsi è se mantenere le stesse regole anche per i clienti. Un’ipotesi potrebbe essere quella di far tenere il dispositivo anti Covid soltanto ai dipendenti, portando con sé tutte le evidenti contraddizioni del caso. Intanto il resto del mondo continua a prendere decisioni sugli stessi temi. Tra gli esempi esteri delle ultime ore c’è la Spagna: l’annuncio dell’addio all’obbligo di mascherina al chiuso è vaso per tutti ad eccezione dei trasporti pubblici e dei taxi, oltre a ospedali, residenze per anziani e farmacie. Sui luoghi di lavoro la decisione sarà a discrezione dei singoli responsabili della sicurezza.

Negli Stati Uniti è recente la sospensione dell’obbligo di dispositivo anti Covid a bordo di aerei e altri mezzi di trasporto pubblico, nonché negli aeroporti e nelle stazioni. Il giudice Kathryn Kimball Mizelle, nominato nel governo di Donald Trump per il tribunale distrettuale di Tampa (Florida), ha ritenuto che l’ordinanza dei Centers for Disease Control and Prevention superasse «l’autorità legale» di tale agenzia nazionale della sanità pubblica degli Stati Uniti. Nonostante la decisione rimanga di carattere politico, come spesso accaduto nei difficili mesi di pandemia, in Italia gli esperti provano a dire la loro su rischi e benefici degli eventuali passi da compiere.

«Vanno tolte»

«Dopo due anni che combattiamo con questo virus le persone sanno da sole quando devono metterla. L’anziano che va a fare la spesa utilizzerà la Ffp2 anche se non c’è una norma che gliela impone». A pronunciare parole ottimistiche sul buon senso ormai acquisito dai cittadini è il primario dell’ospedale San Martino di Genova Matteo Bassetti. «Basta lasciare al singolo la scelta, come succede per tante cose», spiega a la Repubblica. «Ad esempio chi ha la febbre sa che deve stare a casa. Basta la raccomandazione, l’obbligo è fuori dal tempo e dalla scienza. I fragili sanno di doverla indossare. Usciamo da una logica cinese e entriamo in quella occidentale». L’infettivologo risponde anche ai dubbi riguardo al rischio sui posti di lavoro esposti al pubblico.

«Se una commessa tiene la mascherina al lavoro ma poi quando esce va al supermarket o al ristorante e non la usa resta protetta solo per una parte della giornata. Non ha molto senso», spiega. «È un po’ come per gli studenti. A scuola stanno cinque ore con la mascherina ma poi per tutto il resto del tempo, quando escono con gli amici, non la mettono». Sull’efficacia del dispositivo anti Covid Bassetti chiarisce: «È efficace ma non è un rimedio assoluto. Lo dimostra il caso del premier Mario Draghi. Nessuno l’ha indossata quanto lui, che anche per dare l’esempio l’ha tenuta sempre, eppure si è ammalato lo stesso». E aggiunge: «Più che continuare a pensare all’obbligo avrebbe più senso spiegare bene perché serve, come usarla e in quali contesti. Vedo ancora persone che hanno mascherine inguardabili, magari le usano da sei mesi».

«È ancora presto»

Tra quelli che tirano il freno a mano invece c’è il professor Silvio Garattini, fondatore dell’Istituto Mario Negri di Milano, e l’epidemiologa Stefania Salmaso, membro storico dell’Associazione italiana epidemiologia. «Abbiamo ancora tanti non vaccinati. Se a questi si aggiungono coloro che invece il vaccino lo hanno fatto ma purtroppo non sono stati protetti, in Italia ci sono milioni di persone a rischio di essere contagiate e quindi anche di trasmettere il coronavirus», spiega Garattini. «E noi vogliamo che i casi diventino sempre di meno, fino a non esserci più. Tra l’altro, facciamo tutti un po’ finta di niente, ma da noi muoiono ancora 100 persone al giorno». Da non sottovalutare secondo il professore è anche il messaggio che l’addio definitivo alla mascherina potrebbe far passare. «Se si toglie l’obbligo rischia di arrivare il messaggio che tutto è finito. E invece non è vero. È un po’ quello che, per qualcuno, è successo quando è finito lo stato di emergenza. C’è chi ha interpretato quel passaggio come un segnale del fatto che si poteva smettere di essere prudenti. Anche i nostri i governanti dovrebbero trovare il modo di ribadire che la situazione è ancora seria, far capire, spiegare bene le cose».

A rivendicare la centralità delle mascherine è anche Salmaso: «Circa un milione e duecento cittadini sono attualmente positivi», spiega al Corriere, «a questi possiamo pensare di aggiungere tutti quelli che hanno fatto l’autotest a casa e non sono stati inseriti nel sistema di sorveglianza ufficiale. La probabilità di ritrovarsi vicino a una persona contagiosa è ancora alta e le mascherine sono un ostacolo fisico alla trasmissione del virus a cui non possiamo ancora rinunciare».

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