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Diritto all’aborto sotto attacco negli Usa: come si è arrivati a mettere in discussione la «Roe vs Wade»

03 Maggio 2022 - 19:05 Michela Morsa
Secondo il Guttmacher Institute, solo nell'ultimo anni sono 31 gli Stati americani che hanno introdotto divieti e restrizioni all'aborto

Il diritto all’aborto negli Stati Uniti è sempre più a rischio. Se, come sembrerebbe dalla bozza trapelata attraverso Politico, la Corte Suprema statunitense dovesse decidere di ribaltare la storica sentenza «Roe vs Wade» del 1973, che garantisce l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza, nel Paese non ci sarebbe più alcuna tutela federale a protezione del diritto all’aborto, che sarebbe soggetto alle scelte politiche dei singoli Stati. Il Guttmacher Institute, un gruppo di ricerca a sostegno del diritto all’aborto, stima che l’interruzione di gravidanza diventerebbe illegale in almeno 26 Stati, molti dei quali, soprattutto negli ultimi anni, hanno già introdotto numerose restrizioni. Ma come siamo arrivati a questo punto?  

La storica sentenza «Roe vs Wade»  

Il diritto all’aborto negli Usa è garantito appunto da una sentenza della Corte Suprema del 1973, nota come «Roe vs Wade». Quell’anno la Corte Suprema era stata chiamata a esprimersi sul caso di Norma Leah McCorvey (chiamata Jane Roe per tutelarne la privacy), una ragazza la cui richiesta al tribunale del Texas di poter abortire dopo essere stata stuprata era stata respinta. Roe non aveva subito uno stupro, ma era incinta del terzo figlio di un uomo violento, ed era stata convinta dai suoi amici a rivolgersi alla legge texana, che all’epoca consentiva l’aborto solo in caso di stupro e incesto. Il suo caso era finito alla Corte Suprema per il ricorso del procuratore distrettuale Henry Wade, contrario alla decisione della Corte Distrettuale del Texas, che aveva dato ragione a Roe.

La Corte iniziò a esaminare il caso nel 1970 e, il 22 gennaio 1973, con una maggioranza di 7 giudici a 2, si espresse a favore di Jane Roe, sulla base di una nuova interpretazione del XIV emendamento della Costituzione. Il diritto alla privacy fu inteso anche come diritto alla libera scelta per quanto riguarda le questioni della sfera intima di una persona, su cui lo Stato non può agire illimitatamente. La decisione della Corte diede alle donne un diritto assoluto all’interruzione volontaria di gravidanza nel primo trimestre e diritti più limitati nel secondo.

La sentenza, poi, fu confermata in varie altre occasioni dalla Corte Suprema che, con un ulteriore sentenza nel 1992, stabilì che si potesse interrompere la gravidanza prima che il feto fosse considerato vivo, ossia attorno alle 24 settimane. Negli Stati Uniti, però, non c’è mai stata e non c’è ancora una legge federale che uniformi le modalità di accesso all’aborto in tutti gli Stati, costituendo di fatto una minaccia al diritto di migliaia di donne di decidere se portare avanti o meno una gravidanza.

La sentenza attuale  

Arriviamo ai nostri giorni. La sentenza su cui deve esprimersi la Corte Suprema, che dovrebbe prendere una decisione definitiva a giugno, riguarda un caso che la Corte ha iniziato a esaminare a dicembre. È la richiesta dello Stato del Mississippi di riconoscere la propria legge sull’aborto, approvata nel 2018 ma mai entrata in vigore proprio per via della controversia legale. La norma statale punta a rendere illegale l’aborto dopo le prime 15 settimane di gravidanza, anche in caso di stupro o incesto. Il procuratore generale dello Stato ha chiesto non solo di valutarne la legittimità, ma di dare al caso un valore federale e usarlo per annullare definitivamente la sentenza «Roe vs Wade».

Nella bozza trapelata che riporta il parere della maggioranza, il giudice Samuel Alito parla, per conto della corte, di un ripudio «totale e fermo» della sentenza del 1973, che «è stata vergognosamente sbagliata fin dall’inizio». La decisione definitiva potrebbe discostarsi da quanto scritto nel documento, ma già solo il fatto che la Corte Suprema abbia accettato di esaminare il caso del Mississippi è visto come un segnale negativo. Infatti, i giudici avrebbe potuto rifiutare il ricorso citando la sentenza «Roe vs Wade» come precedente, come avevano fatto fino a ora con proposte simili.

La stretta sull’aborto

Negli ultimi anni, il diritto all’aborto delle donne statunitensi è spesso stato minacciato dalle manovre politiche degli Stati di orientamento più conservatore, che cercavano di impedirlo rendendo il più complicato possibile l’accesso pratico all’interruzione di gravidanza. A partire dal 2018, però, l’approccio è diventato più aggressivo e molti Stati hanno iniziato a introdurre leggi sempre più stringenti, forti dell’appoggio della Corte Suprema, il cui equilibrio si è spostato molto a destra grazie alla nomina di tre giudici conservatori da parte dell’ex presidente statunitense Donald Trump.

Secondo il Guttmacher Institute, dal 1973 ad oggi sono 1.989 i provvedimenti restrittivi in materia di salute sessuale e riproduttiva applicati in 46 Stati statunitensi e nel Distretto di Colombia. E solo nel 2021 sono stati 19 gli Stati a ratificare leggi restrittive nei confronti dell’aborto, mentre sono 31 quelli che nel 2022 hanno tentato di vietarlo o limitarlo fortemente, con norme già operative in Florida, Oklahoma, Kentucky, Arizona, Idaho e Wyoming. Gli ultimi il Kentucky (in cui però la legge è stata temporaneamente bloccata) e la Florida che, sul modello del Mississippi, hanno vietato l’aborto dopo le 15 settimane di gravidanza, consentito solo nel caso di pericolo per la vita della madre o in caso di gravi malformazioni del feto. 

Ancora più severa la decisione dell’Oklahoma, dove il governatore ha approvato una legge che proibisce l’aborto dopo 6 settimane di gestazione e lo punisce con una multa da 100 mila dollari e 10 anni di prigione. Uno Stato che, tra l’altro, rappresentava un porto sicuro per abortire per le donne degli Stati ultra conservatori più a sud, come il Texas, che aveva introdotto una legge simile a settembre, con l’aggravante di incaricare i civili di denunciare qualsiasi medico che praticasse o suggerisse l’aborto. Inoltre, numerosi Stati prevedono i cosiddetti «divieti a scatto», che renderebbero l’aborto illegale non appena la sentenza «Roe vs Wade» fosse ribaltata.

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