L’ex manager di Gazprom scappato in Ucraina: «Ecco come fabbricavamo bugie contro Kiev: ancora oggi opinionisti pagati dal Cremlino per mentire»
C’è una regole base che non va mai dimenticata quando fonti ufficiali russe diffondono una qualsiasi informazione, spiega l’ex vicepresidente di Gazprombank Igor Volobuev intervistato da Repubblica: «È di default una bugia fino a quando non sia stata provata». L’ex manager è scappato dalla Russia in Ucraina agli inizi di marzo con l’idea di combattere accanto agli ucraini. Lui originario della regione di Sumy, dove ha vissuto anche suo padre, come spiega a Fabio Tonacci, e dove ci sono ancora tutti i suoi amici di infanzia che dal 24 febbraio gli hanno inviato messaggi e video su quel che stava accadendo: «Ero terrorizzato: non erano presi da YouTube ma girati personalmente da loro che erano nei rifugi. Okhtyrka – sua città natale – è stata una delle prime a sperimentare gli orrori». A quel punto ha deciso che doveva andare via dalla Russia e arruolarsi con ucraini, ma non gli è stato possibile, perché non ha una preparazione militare.
I meccanismi della propaganda russa
Non potendo combattere, Volobuev con un passato da giornalista ha deciso di «contrastare la propaganda russa. Dentro Gazprom – racconta – mi occupavi di insegnare la “politica dell’informazione”. Conosco la cucina dall’interno…». In sei anni a Gazprombank, dopo 16 anni in Gazprom, Volobuev ha potuto assistere da vicino a quali sono le pietanze avvelenate della propaganda del Cremlino, soprattutto contro l’Ucraina: «Non solo contro le azienda, ma contro l’interra Ucraina, il Paese più importante per il transito del gas russo. Il centro controllo è ed è sempre stato nell’ufficio del presidente. Uno degli uomini che muoveva i fili era Aleksej Gromov – vice capo dello staff di Vladimir Putin e responsabile della propaganda».
Le campagne russe di fake news contro l’Ucraina
Una delle campagne più intense contro Kiev è stata quella durante «la guerra del gas del 2008-2009», quando Mosca diffondeva informazioni che puntavano a screditare i gasdotti ucraini, accusando Kiev di non fare manutenzione e spingendo per nuove infrastrutture che permettessero di aggirare l’Ucraina per le forniture all’Europa. Più che vere e proprie fake news, la strategia era: «fare molto rumore per niente. Per avvalorare l’alto tasso di guasti, prendevamo piccoli casi e li spacciavamo per sistematici, sostenendo che le tubature erano marce e arrugginite. La verità? – spiega Volobuev – I dati sugli impianti russi non sono migliori di quelli ucraini».
Chi gestisce le operazioni di propaganda russa
La catena di comando delle operazioni di propaganda russa anti-Kiev passava dal ceo di Gazprom, Aleksej Miller: «Lui riceveva ordini direttamente dal Cremlino. Davamo alle operazioni la veste del confronti economico, in realtà la guerra del gas era una conseguenza dei problemi che la leadership russa aveva con Kiev». Mosca non accettava quel che stava avvenendo con la Rivoluzione arancione e con l’ascesa di Viktor Yushenko, oltre che l’intenzione ucraina di aderire alla Nato. Per attaccare Kiev, la macchina della propaganda russa ha provato ad accusare l’Ucraina di rubare il gas russo: «Manipolando la realtà». Un sistema che si sarebbe sempre appoggiato anche su opinionisti pagati direttamente dal Cremlino: «attraverso un’agenzia non russa di pubbliche relazioni. Non posso dire il nome – spiega l’ex n.2 di Gazprombank – Quando lavoravo là, sapevo che milioni di dollari erano stati investiti per corrompere “agenti di intelligence” perché diffondessero sui media una visione favorevole al governo. Apparentemente, lo stesso meccanismo è in vigore adesso».