Reinfezioni da Covid-19: cosa sono e perché “bucano” i vaccini. Galli: «Sottovarianti più contagiose»
Dall’inizio della pandemia in Italia sono avvenute più di 400mila reinfezioni. Un dato che l’Istituto superiore di sanità continua a registrare in salita soprattutto nelle ultime settimane, giorni in cui il dibattito scientifico si concentra sul reale pericolo di una nuova ondata causata dalle sotto varianti di Covid-19, Omicron 4 e 5. Se il ministro della Salute Roberto Speranza per ora rassicura, «non sono mutazioni dominanti nel nostro Paese, possiamo star tranquilli», gli enti regolatori internazionali avvertono di un pericolo che con tutta probabilità nei prossimi mesi colpirà a catena i Paesi europei. Intanto le reinfezioni crescono. E cioè salgono tutti quei casi di persone immunizzate e già una volta infettate dal virus (e negativizzate) che dopo un certo numero di mesi tornano di nuovo positive.
Attualmente gli episodi di reinfezione costituiscono il 5,8% dei contagiati, solo 7 giorni fa il totale era a meno di 400mila persone con il 5% di percentuale. «Omicron e i suoi discendenti sono molto differenti dal virus selvaggio originario. Sono tra le altre cose in grado di bucare sia l’immunità conferita dal vaccino che dalle altre infezioni», dice il professor Massimo Galli che ha sperimentato in prima persona la reinfezione. «Io con tre dosi ho preso un’infezione da Omicron 1 per esempio. Di solito sono casi non gravi che possono diventarlo invece nei non vaccinati», spiega a Il Mattino.
Chi si reinfetta di più?
L’ultimo rapporto esteso dell’Iss individua specifiche categorie di popolazione che negli ultimi mesi ha dimostrato di essere più soggetta a reinfezione da Covid-19.
- i soggetti con prima diagnosi di COVID-19 notificata da oltre 210 giorni rispetto a chi ha avuto la prima diagnosi di COVID-19 fra i 90 e i 210 giorni precedenti;
- i soggetti non vaccinati o vaccinati con almeno una dose da oltre 120 giorni rispetto ai vaccinati con almeno una dose entro i 120 giorni;
- le donne rispetto agli uomini. Il maggior rischio nei soggetti di sesso femminile può essere verosimilmente dovuto alla maggior presenza di donne in ambito scolastico (>80%) dove viene effettuata una intensa attività di screening e al fatto che le donne svolgono più spesso la funzione di caregiver in ambito familiare;
- le fasce di età più giovani (dai 12 ai 49 anni) rispetto alle persone con prima diagnosi in età compresa fra i 50-59 anni. Verosimilmente il maggior rischio di reinfezione nelle fasce di età più giovani è attribuibile a comportamenti ed esposizioni a maggior rischio, rispetto alle fasce d’età > 60 anni;
- gli operatori sanitari rispetto al resto della popolazione
Le reinfezioni sono meno pericolose?
«Immaginiamoci un fuoco che si estende con grande diffusività ma minore patogenicità», spiega ancora il professor Galli, «è come una grande brace che si estende rapidamente passando più volte sullo stesso luogo e che lascia dietro di sé una scia di fumo». Dalla similitudine fatta dallo scienziato si deduce che le reinfezioni siano più leggere ma questa, secondo il professore, non può essere una regola. «Non possiamo escludere momentanee fiammate a maggiore letalità. Considerando anche il fatto che il virus continua a infastidire anziani e fragili dove non a caso si concentrano i decessi». Il caso estremo dell’infermiera spagnola reinfettata due volte nel giro di 20 giorni prima con Delta e poi con Omicron conferma ulteriormente: nel primo contagio era risultata asintomatica, nel secondo aveva avuto tosse e febbre.
Ma allora i vaccini a che servono?
L’idea ancora comune, anche tra i vaccinati, è che l’immunità che si è deciso di acquisire attraverso le due dosi e il booster sia eterna. Una specie di antidoto magico che fornisce poteri immunizzanti per tutto il resto della vita. L’iter di vaccinazione non funziona e non ha mai funzionato in questo modo. E a farcelo sapere non è soltanto la protezione anti Covid ma anche tutti quei vaccini che durante la nostra crescita hanno avuto bisogno di uno o più richiami, primo fra tutti quello dell’influenza stagionale. A ribadirlo nei giorni scorsi a Open è stato lo stesso professor Fabrizio Pregliasco, uno degli esperti fermamente convinto dell’esistenza di una prossima ondata causata dalle sottovarianti.
«A tutti coloro che provano ancora a far polemica sulla durata dell’efficacia del vaccino dico che stanno perdendo tempo. Quello della temporaneità è un aspetto assolutamente normale e proprio dei vaccini in quanto tali», aveva spiegato. «C’è una proporzionalità tra la capacità di guarigione e la capacità della vaccinazione: per mantenere questa possibile convivenza con il virus sarà quindi necessario andare avanti con richiami vaccinali e con prodotti magari ambivalenti, in grado di proteggere dall’originale virus di Wuhan più Omicron».
Niente di fallato o ingannevole quindi. «È scientificamente normale che gli anticorpi calino col tempo» spiega la direttrice del dipartimento di Malattie Infettive dell’Iss, «in più si sta parlando di varianti “immunoevasive”: vuol dire che gli anticorpi prodotti durante la prima infezione (così come quelli ottenuti grazie al vaccino) fanno più fatica a riconoscere il virus mutato». Senza contare la tipica caratteristica dei coronavirus di «conferire un’immunità piuttosto debole a livello del naso o delle vie respiratorie superiori. In caso di nuova esposizione, quindi, i coronavirus scavalcano facilmente queste barriere. Anche se difficilmente riescono a scendere nelle vie aeree più profonde, provocando polmoniti gravi».
La questione quarta dose
Sul tema dell’immunità il professor Galli spiega che: «L’efficacia del vaccino dipende anche dalla variabilità della nostra risposta. Non siamo tutti uguali: c’è chi è più rispondente ai vaccini, chi meno. Chi fa molti anticorpi e ha un’immunità durevole, chi ne sviluppa meno anche con tre dosi». Ed è proprio alla luce di questo che l’idea di una quarta dose almeno per fragili e anziani ora si fa più che mai necessaria. «Dovendo procedere nei confronti di anziani di cui si conosce la reattività immunitaria e il livello di risposta con le precedenti dosi, io procederei senza alcuna riserva con la quarta dose in quanto i rischi legati alla vaccinazione sono pressoché nulli».
Una corsa a ripari che il professore consiglia di fare «anche prima dell’aggiornamento dei vaccini». Lo studio italiano pubblicato su Frontiers of Public Health spiega che la possibilità di reinfettarsi nei non vaccinati è quattro volte più alta dei vaccinati. Elementi che non sono da sottovalutare proprio adesso, quando il possibile arrivo di Omicron 4 e 5, già responsabili di una nuova ondata in Sudafrica, e di un aumento dei contagi in Portogallo, potrebbe causare anche in Italia un aumento di infezioni e reinfezioni ancora più alto.
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