Aborto, i dati allarmanti sull’Italia: in oltre 100 strutture picchi di obiezione tra l’80 e il 100%
A 44 anni dall’entrata in vigore della legge 194, che regola l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza in Italia, i dati sulla sua corretta applicazione sono sempre meno confortanti: sono 31 (24 ospedali e 7 consultori) le strutture sanitarie con il 100 per cento di obiettori di coscienza tra ginecologi, anestesisti, infermieri e operatori socio-sanitari. Quasi 50 quelle con una percentuale superiore al 90 per cento, più di 80 quelle con un tasso di obiezione superiore all’80 per cento. Numeri parziali, che emergono dall’indagine «Mai Dati!» di Chiara Lalli, docente di Storia della Medicina, e Sonia Montegiove, informatica e giornalista, presentata oggi 17 maggio con l’Associazione Luca Coscioni durante una conferenza stampa alla Camera dei Deputati.
La «fotografia sfocata» del Ministero
Un’indagine, in continuo aggiornamento, che è stata avviata ad agosto 2021 per colmare l’inadempienza del ministero della Salute nell’analisi del fenomeno dell’obiezione di coscienza e nel monitoraggio dell’applicazione della legge. Lalli e Montegiove hanno mandato una richiesta di accesso civico generalizzato alle singole Asl e presidi ospedalieri di tutto il Paese, chiedendo i numeri specifici di ogni struttura, nel tentativo di comporre una mappa dettagliata dell’accesso all’aborto in Italia, sempre aggiornata e il più completa possibile. Le due esperte ci tengono però a specificare l’incompletezza del loro lavoro: a quasi nove mesi dall’inoltro di queste richieste, la percentuale di risposta è stata di poco maggiore al 70 per cento e, potenzialmente, i dati raccolti qualche mese fa ad oggi potrebbero essere già vecchi.
Il punto è proprio questo: è necessario un totale ripensamento del metodo di raccolta dei dati che ne assicuri un flusso continuo e aggiornato. Un sistema che deve essere necessariamente veicolato dalle istituzioni e diffuso in maniera capillare e verticale, dal ministero della Salute alle regioni, dalle regioni alle Asl, fino alle singole strutture. Lalli e Montegiove parlano invece di una «fotografia sfocata» da parte del ministero, che nel rispetto dell’art. 16 della legge 194 dovrebbe presentare al Parlamento un report annuale. La relazione del 2021 non solo era redatta su dati vecchi, relativi al 2019, ma oltretutto non restituiva un quadro reale della situazione a causa dei «dati chiusi e aggregati per regione». Ad esempio, la relazione individua 356 ospedali che eseguono la Ivg, ma è un dato totalmente inaffidabile: dopo tre anni, soprattutto tenendo conto della pandemia, il numero potrebbe essere molto diverso. Inoltre, sottolineano le due esperte, «la percentuale nazionale di ginecologi non obiettori di coscienza (che secondo la relazione ministeriale è del 33 per cento) deve essere ulteriormente ridotta, perché non tutti i non obiettori eseguono Ivg. In alcuni ospedali alcuni non obiettori eseguono solo ecografie, oppure ci sono non obiettori che lavorano in ospedali nei quali non esiste il servizio Ivg, e quindi non lo eseguono».
Lo stato della 194 nel Paese
«Avere un quadro chiaro dello stato di salute di questa legge purtroppo non è facile, proprio perché non abbiamo dati aggiornati e dettagliati» – ha dichiarato Filomena Gallo, avvocato e Segretario Nazionale dell’Associazione Luca Coscioni. «Una cosa però è molto chiara: la legge 194 è mal applicata o addirittura ignorata in molte aree del nostro Paese», ha aggiunto. Dopo aver sollecitato più di sei mesi fa un cambio di passo da parte del Governo, l’Associazione, Lalli e Montegiove, hanno nuovamente chiesto al ministro della Salute Roberto Speranza e al ministro della Giustizia Marta Cartabia di procedere con una raccolta puntuale dei dati «in formato aperto, di qualità, aggiornati e non aggregati» e che la relazione ministeriale venga presentata annualmente, in modo da garantire quantomeno un reale servizio di informazione e indirizzamento alle cittadine che scelgono di interrompere una gravidanza. «Vogliamo che si sappia quanti sono i non obiettori che eseguono le Ivg e gli operatori che le eseguono dopo il primo trimestre, che tutte le regioni offrano realmente la possibilità di eseguire le Ivg farmacologiche in regime ambulatoriale e che venga inserito nei Lea un indicatore rappresentativo dell’effettiva possibilità di accedere alla Ivg in ciascuna regione», ha concluso Gallo.
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