Il pagamento del gas russo in rubli viola le sanzioni? I malumori di Eni: «Regole Ue poco chiare di proposito»
Mentre l’Unione europea fatica a chiudere il sesto pacchetto di sanzioni sul petrolio, nella Commissione Ue fa discutere la decisione di Eni di aprire due conti – uno in euro e uno in rubli – per il pagamento del gas russo. Le trattative incrociate del gruppo con il governo italiano e l’Unione europea sono rimaste altamente riservate, ma qualcosa inizia a venir fuori. La mancanza di linee guida europee chiare ha permesso a Eni di muoversi in quello che persone informate sui fatti descrivono come «un vuoto legislativo». Fonti altamente qualificate hanno spiegato a Open che la poca linearità del quadro normativo non è un errore, ma una area d’ombra voluta, resasi necessaria a fronte di un’Ue spaccata sul tema. «Se le regole sui pagamenti non sono esplicite, c’è un motivo», dicono. «Nessuno dei grandi Stati europei vuole e può rinunciare alle forniture da Mosca».
La notizia dell’apertura dei due conti di tipo “K” di Eni ha provocato in Europa le reazioni più diverse. Il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans, sollecitato sul caso specifico, ha ripetuto ieri 18 maggio che «pagare in rubli significa violare le sanzioni e i contratti stipulati, che prevedono il pagamento in euro o in dollari». Se lo sia anche farlo indirettamente, però, non è chiaro. Nella conferenza stampa da Washington, lo stesso Mario Draghi – che da mesi lavora con Eni sulla questione energetica – ha parlato di una «zona grigia», spingendosi a dire che le aziende italiane, se necessario, pagheranno in rubli.
Come funziona il pagamento di Eni del gas russo
Il metodo di pagamento di Eni è stato messo a punto, spiegano le fonti, con il gabinetto della Presidenza del Consiglio e il ministero della Transizione Ecologica. Secondo quanto comunicato dall’azienda, il versamento continuerà a essere effettuato in euro (come da contratto). La conversione in rubli avverrà solo 48 ore dopo su un secondo conto, sempre intestato a Eni, a opera di un agente liquidatore della borsa di Mosca. «Il clearing agent non è sanzionato dall’Ue a differenza della Banca centrale russa», dicono le fonti. Si tratta quini, spiegano, di un procedimento in linea con le indicazioni europee.
L’espediente è quello descritto dallo stesso Vladimir Putin nel decreto del 31 marzo scorso: i «Paesi ostili» alla Russia sono chiamati pagare il gas in rubli attraverso l’apertura di conti speciali di tipo “K” con Gazprombank, braccio finanziario della società di energia Gazprom. Quello di Eni, spiegano le fonti, è un meccanismo che «indirettamente» compie un pagamento in rubli, ma che «tecnicamente» non va contro i contratti in essere né contro le regole comunitarie. Della stessa idea sembra essere il Commissario agli Affari Economici Paolo Gentiloni, che in merito alla questione ha detto: «I pagamenti in euro o in dollari non costituiscono una violazione delle sanzioni».
Perché la Commissione non è chiara?
«Siamo davanti a uno scaricabarile istituzionale», spiegano le fonti, parlando di «un certo malessere» in seno al governo italiano e alla stessa Eni. Molti Stati membri, dicono, «non possono rinunciare al gas russo e non c’è la volontà politica di farlo. Perché questo creerebbe il rischio di chiusura delle attività produttive. Soprattutto Paesi con il manifatturiero forte come Italia e Germania non possono permetterselo». A opporsi all’embargo sono stati anche l’Ungheria e i Paesi del Sud-Est europeo. La Commissione Ue lavora su input degli Stati membri, che non hanno trovato un accordo sul blocco totale del gas da Mosca.
In una conferenza stampa del 6 aprile scorso, Draghi ha commentato: «L’embargo del gas russo non è sul tavolo e non so se lo sarà mai». Secondo le fonti, «la linea del governo è stata quella di continuare a importare gas per evitare un’economia di guerra, ed Eni ha fatto tutti i passi in sincronia con l’esecutivo». «Se l’Unione europea avesse deciso di sospendere le forniture di gas da Mosca – concludono -, Eni si sarebbe adeguata».
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