Il soldato della Azov scappato dalla Azovstal prima della resa: «I miei compagni ora sotto tortura: torno per vendicarli»
È tornato in Ucraina per «vendicare i miei compagni dell’Azov», racconta uno dei combattenti del battaglione di volontari ucraini intervistato da Marta Serafini sul Corriere della Sera che lo ha incontrato a Zaporizhzhia a pochi giorni dalla resa dell’acciaieria di Azovstal. Secondo il ventenne Robert K., da quando i soldati ucraini sono stati fatti prigionieri dall’esercito russo hanno subito torture indicibili. Mostrando una foto di gruppo nel suo telefono, il soldato racconta: «Lui ora lo stanno torturando e gli stanno strappando le unghie. Lui invece è morto. Lui è tornato come me. Di lui invece ho perso traccia da un mese. A lui invece hanno sparato cinque proiettili nella gamba».
La fuga per la famiglia
Robert racconta di essere stato nella Azovstal fino al 15 marzo. Nell’acciaieria era arrivato insieme alla sua famiglia: «chiusi in uno scantinato da settimane senz’acqua e senza cibo. Dovevo metterli in salvo. E dovevo salvare me stesso». Perciò quel giorno ha deciso di lasciare l’impianto, dopo che il comandante gli avrebbe detto: «o restate o combattete fino alla fine. O andatevene vestiti da civili, se volete salvarvi». Robert spiega di essere corso dalla sua famiglia che da giorni non dormiva: «Erano stravolti. Mi sono tolto la divisa e siamo partiti con un convoglio di auto. Lungo la strada verso Zaporizhzhia abbiamo passato 14 checkpoint russi. Ci hanno fermato venti volte».
Roberto dice che ora la sua famiglia si trova all’estero, al sicuro. Il soldato della Azov non è pentito di aver lasciato a metà marzo l’acciaieria: «perché ho messo in salvo i miei cari». Ora però dice di voler «tornare a combattere e vendicare i miei compagni». Con loro avrebbe parlato fino a cinque giorni fa: «Alcuni sono come fratelli. Hanno vissuto l’inferno e ora è anche peggio probabilmente. Ma sono sicuro che torneranno indietro. Il bene deve vincere sul male».
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