Giornata mondiale degli Oceani, cosa fare per salvare dalla plastica i nostri mari
Gli oceani del mondo sono pieni di plastica, che rappresenta l’80 per cento dei rifiuti in mare. In base alle dimensioni si parla di macroplastiche o di microplastiche. Mentre è relativamente semplice ridurre le prime, per la seconda categoria le cose si complicano, anche perché spesso le fonti che le rilasciano non ricevono adeguata attenzione. Per contrastare il fenomeno, a maggio, il Parlamento italiano ha approvato una legge – la Salvamare – che potrebbe portare a riva 30 mila tonnellate di rifiuti in 10 anni. Ma rimane ancora molto da fare.
Le tipologie di plastica
Macroplastiche
Ogni anno nel mondo vengono prodotte 300 milioni di tonnellate di plastica, metà delle quali è costituita da oggetti monouso, come sacchetti, confezioni, bicchieri e cannucce, che rappresentano la maggior parte della plastica in mare. Una fonte di plastica meno nota, ma comunque significativa, è la pesca: reti, boe, e cassette per il pesce costituiscono circa il 10 per cento di tutta la plastica negli oceani. Ogni anno 14 milioni di tonnellate di rifiuti plastici finiscono in mare, dove lentamente si degradano in particelle che raggiunte dimensioni minori di 5 millimetri, vengono definite microplastiche. L’Onu stima che la particelle di microplastiche disperse negli oceani siano 51 trilioni, ovvero 500 volte il numero di stelle nella nostra galassia.
Microplastiche
Le microplastiche derivano invece in buona parte dall’erosione di grandi rifiuti con parti plastiche, ma anche da fonti inaspettate. Di queste ultime, le principali sono tre: la prima (35% del totale) è l’usura delle fibre dei tessuti sintetici durante il lavaggio. La seconda è l’erosione degli pneumatici sull’asfalto (28%). La terza fonte, infine, è quella che viene definita city dust (24%), ovvero l’insieme di particelle erose da, ad esempio, pittura, edifici, e lavori edili.
Le soluzioni
La legge Salvamare
A maggio, il Senato ha dato il via libera alla Salvamare, una legge che consente ai pescatori di portare a riva i rifiuti che recuperano in mare, pratica per la quale non è più previsto il reato di trasporto illecito di rifiuti. La legge, inoltre, prevede l’introduzione di barriere antiplastica alla foce dei fiumi, dai quali passa l’80 per cento della plastica che finisce in mare. Di questa e altre soluzioni, Open ha parlato con Raffaella Giugni, responsabile relazioni istituzionali della onlus per la difesa del mare Marevivo. La legge costituisce un «progresso significativo – spiega Giugni-, ma gli effetti non si vedranno finché non verranno approvati i decreti attuativi». Gli atti legislativi, però, non sono l’unica via per affrontare il problema.
Produrre meno rifiuti
In generale «ridurre la quantità di plastica monouso prodotta, e quindi quella di rifiuti creati e dispersi», continua l’ambientalista, è la maniera migliore di limitarne la dispersione in mare. La responsabilità ricade sui singoli: «Non ha senso riciclare se beviamo cinque caffè al giorno in bicchieri di plastica monouso. Bisogna ridurre il consumo». Ma anche sulle istituzioni: «Una maniera molto semplice di farlo – afferma – è introdurre il sistema dei vuoti a rendere, che tanto bene funziona in altri Paesi europei».
Limitare la dispersione delle microplastiche
Tuttavia quando si arriva alle microplastiche il danno è praticamente fatto, poiché sono estremamente difficili da recuperare. Per ridurne la dispersione però ci sono delle soluzioni possibili: «Si potrebbero cambiare gli pneumatici più spesso, e si dovrebbe lavorare con le aziende affinché producano tessuti che disperdono meno plastica e diano istruzioni di lavaggio per limitare il fenomeno». Infine, spiega l’ambientalisti, «si potrebbero anche inserire filtri nelle lavatrici». Una cosa è certa: è fondamentale agire subito, perché «la plastica non sparisce mai, si degrada, si tritura, ma rimane per sempre».
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