«Il progetto P38 è finito»: si è sciolta la band indagata per apologia delle Brigate rosse
«Il progetto P38 è giunto al termine». Con queste parole la band P38 annuncia il suo ritiro dalla scena musicale attraverso un post Instagram. Nota per essere finita nel mirino della procura di Torino per alcuni testi delle canzoni con riferimenti alle Brigate Rosse, la band è stata più volte al centro di polemiche. Se la prendono con il «tribunale dei magistrati e quello dei giornalisti» e con i reparti della Digos, i quali gli tengono sotto controllo vita personale, telefoni, case e familiari. Ma non solo, spiegano che gli sono saltati oltre 10 concerti in programma, «a volte per volontà degli organizzatori, a volte per motivi di forza maggiore che vi lasciamo immaginare» e, aggiungono, che tutto lo staff «si è fatto da parte per timore di ripercussioni legali». La pagina della band non presenta più alcun post, se non l’annuncio del ritiro.
La bufera di polemiche
Il logo della band P38, che è composta da Astore, Papà Dimitri, Yung Stalin e Jimmy Penthotal, è una stella rossa a cinque punte. Loro si presentano con il passamontagna, e il nome che li rappresenta è la nota pistola del terrorismo degli anni Settanta. Il Primo maggio sono stati travolti da una bufera di polemiche quando si sono esibiti al circolo Arci Tunnel di Reggio Emilia, portando i loro simboli sul palco e cantando diverse canzoni con espliciti riferimenti alle Brigate Rosse. Da Renault, l’auto in cui venne ritrovato il cadavere di Aldo Moro il 9 maggio ’78, passando per Nuove BR, Giovane Stalin fino ad arrivare a Ghiaccio Siberia. La figlia di Moro, Maria Fida e il figlio di un carabiniere vittima dalle Brigate Rosse, Bruno D’Alfonso, sono tra le persone che avevano presentato esposti contro il gruppo brigatista. Nell’annuncio del ritiro, la band ha ringraziato l’affetto che ha ricevuto dal pubblico. «Ci togliamo il passamontagna per tornare in mezzo a voi come persone, come amici, come compagni. Ma non più come P38».
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