Stefano Montanari e la teoria del vaiolo delle scimmie scelto per «terrorizzare gli imbecilli»
Circola un video dove Stefano Montanari, personaggio apprezzato negli ambienti No vax, propone la sua visione riguardo al vaiolo delle scimmie. La clip mostra tre minuti di intervento tratti da un’intervista più ampia trasmessa sul canale YouTube 100 giorni da leoni, dove però non vengono forniti maggiori elementi a prova della sua narrazione. Sostanzialmente, Montanari invita a non «sbaciucchiare le scimmie», facendo pensare a un “complotto” volto a gonfiare il fenomeno sanitario, appositamente per testare la predisposizione delle persone a crederci. Montanari parla proprio di «informazioni psichiatriche», che le case farmaceutiche raccoglierebbero scegliendo una malattia «grottescamente ridicola».
Per chi ha fretta:
- I casi di Vaiolo delle scimmie non possono spiegarsi con la psichiatria, perché il virus viene continuamente isolato, quindi riconosciuto coi test PCR.
- Trattandosi di una zoonosi emergente dal 2004 con trasmissione uomo-uomo accertata, è comprensibile che questi nuovi focolai suscitino l’attenzione degli scienziati.
- Nessun esperto serio sta gonfiando il fenomeno, anzi si ricorda che si tratta di una malattia curabile, di cui esiste un vaccino, che non si trasmette con facilità.
Analisi
Riportiamo i punti salienti del discorso di Montanari, dove riscontriamo degli Straw man argument, ovvero delle fallacie argomentative volte a distorcere la reale posizione degli esperti e delle Istituzioni, sui focolai di Vaiolo delle scimmie, al fine di creare una emergenza inesistente nella popolazione:
Si è scelto il Vaiolo delle scimmie – continua il Montanari -, che c’è sempre stato […] noi lo conosciamo da almeno 60 anni. Hanno scelto a caso una malattia apparentemente grottescamente ridicola per fare due cose: uno, terrorizzare gli imbecilli; due, per vedere fino a che punto si potevano spingere […]. Chi crede a questo Vaiolo delle scimmie offre veramente delle informazioni psichiatriche molto importanti, che permettono alle ditte farmaceutiche di fare l’altro passettino […]. Ci sono malattie che sono molte migliaia di volte più comuni […] ma quelle non erano interessanti, perché non avrebbero informato sul grado di cottura dei cervelli.
Certamente, come spiega lo stesso Montanari, noi conosciamo questa malattia da decenni. I ricercatori la trovarono per la prima volta in Africa nel 1958. I primi casi documentati nelle persone risalgono agli anni ’70. Conosciamo anche la trasmissione uomo-uomo, ragione per cui non è solo questione di evitare assurde “effusioni eccessive” con le scimmie.
Recentemente i ricercatori dello Spallanzani hanno isolato il Monkeypox virus responsabile della malattia, in campioni di liquido seminale, cosa che confermerebbe quanto sospettato fin dai primi focolai, ovvero che potesse trasmettersi anche attraverso rapporti sessuali non protetti. Il patogeno fa parte degli Orthopoxvirus, gruppo di virus a DNA della famiglia dei Poxviridae, dove troviamo anche il Variola virus, responsabile del Vaiolo umano.
Conosciamo due ceppi principali del Monkeypox: uno più pericoloso originario del Congo, con una mortalità che può arrivare oltre il 10%, e uno proveniente dall’Africa occidentale (da cui sembrerebbe derivare quello attuale), con una mortalità sotto l’1%. Abbiamo già vaccino e farmaco, mentre i casi registrati in 28 paesi sono circa 1000. Non ci sono ragioni per creare allarmi, né possiamo cascare dalle nuvole scoprendo che esistono le zoonosi (malattie che si trasmettono dagli animali alle persone) dopo la Pandemia di Covid-19. Il Vaiolo delle scimmie è riconosciuto infatti come zoonosi emergente dal 2004, questo lo mette nell’elenco dei patogeni che cerchiamo di tenere sotto controllo, anche con delle simulazioni pandemiche, tra questi ricordiamo Ebola, H2N2, H7N9 e Lassa.
Cosa possiamo aggiungere? Suggeriamo un’analisi del professor Enrico Bucci per Il Foglio:
Evidentemente in precedenza vi sono stati più e più episodi distinti, i quali possono o meno aver dato origine a focolai ampi. A proposito di questo ultimo punto, è importante notare come solo oggi pazienti infettatisi e campionati nel 2021 siano stati diagnosticati correttamente: questo fatto suggerisce come moltissimi casi potrebbero semplicemente non essere stati rilevati in precedenza, scambiati magari per herpes o per altre patologie e arrivati a risoluzione clinica senza danni nonostante la diagnosi erronea.
Conclusioni
Nessun esperto della materia ritiene che ci troviamo di fronte a una nuova pandemia, né si ritiene che questa malattia possa diffondersi con la facilità con cui è successo con la Covid-19. Semplicemente si evita di banalizzare la questione, cosa che potrebbe portare le persone a non prestare attenzione, con conseguenze altrimenti evitabili. Non sembra esserci infine nulla di «psichiatrico». Quando parliamo di casi accertati, significa che chi di dovere ha riconosciuto il Monkeypox virus mediante test PCR, come dovremmo aver imparato col SARS-CoV-2.
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