Conte, Di Maio, Draghi: chi ha vinto e chi rischia di perderci (e molto) con la scissione M5s
Alla fine Mario Draghi piega Giuseppe Conte mentre Luigi Di Maio dice addio al Movimento 5 Stelle. Il Senato ha votato compatto la risoluzione di maggioranza sulle armi in Ucraina. Chiudendo così (per ora) le fibrillazioni interne. Ma intanto è arrivata la scissione di Di Maio: più di sessanta parlamentari hanno lasciato i gruppi grillini per un nuovo progetto politico, Insieme per il futuro. Ed è proprio il futuro ad essere in ballo dopo la diaspora. Quello del governo Draghi, che torna inaspettatamente in bilico. Quello dell’ex Avvocato del Popolo, che adesso avrà più difficoltà nel seguire le traiettorie politiche spesso tortuose in cui ama avventurarsi il partito di Beppe Grillo. E infine quello del ministro degli Esteri, che lascia proprio mentre il Garante ribadisce che le regole (leggi: il divieto di terzo mandato) vanno rispettate. In cerca di uno spazio politico in un centro già molto affollato.
Insieme per il futuro di chi?
Proprio le prospettive di Di Maio sono quelle più in discussione in queste ore. L’orizzonte del ministro è quello del Grande Centro e i compagni di viaggio che si sta scegliendo sono molto lontani dal suo vecchio partito. «Ora dovremo toglierci l’etichetta 5 Stelle di dosso», avrebbe sussurrato ieri ai retroscenisti dei quotidiani. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera il fedelissimo Vincenzo Spadafora spiega la linea del nuovo aggregato: «Sosterremo convintamente il governo di fronte alle sfide del Covid, della guerra, della crisi economica, energetica, alimentare e climatica. La cultura politica euroatlantista è la cornice in cui ci muoviamo». Spadafora sogna «una forza che abbia idee e progetti nuovi su cui coinvolgere i cittadini, da Nord a Sud, e offrire agli elettori e al Paese una visione dell’Italia per i prossimi anni».
Poi rivela: «Da ieri i nostri telefoni non hanno smesso di squillare un minuto. Ci sono tante forze e tante energie che cercano una casa, e potremo costruirla insieme, senza re o padroni». Queste sono le parole. Poi c’è la realtà. Che vede il Centro della politica italiana già piuttosto affollato. E alcuni protagonisti faticheranno a diventare interlocutori dell’ex Capo Politico del Movimento 5 Stelle. Perché lo hanno sempre combattuto (Renzi e Calenda). E perché prima o poi le aspirazioni dovranno fare i conti con la concretezza. Le candidature di un parlamento che ha dimezzato onorevoli e senatori non potranno fare felici tutti. Anzi. Per non parlare dei collegi sicuri. E allora come si arriverà alle elezioni del 2023? E con quali candidati?
Il Conte dimezzato
Non se la passa meglio il Conte dimezzato. Di Maio gli ha portato via il primato della prima forza politica in Parlamento. Ha fatto sapere che se lo aspettava e che era solo questione di tempo. Il Corriere della Sera scrive oggi che nella pattuglia dei sopravvissuti del Movimento, più che disperarsi perché «abbiamo perso la Farnesina», si celebra il fatto che «ci siamo liberati del peso di avere uno dei nostri alla Farnesina». Conte adesso sente di avere le mani libere nel suo rapporto con Draghi. Sarà, ma il dato di fatto è che adesso il M5s si trova di fronte a un bivio. Rimanere nell’esecutivo e non far percepire a nessuno la differenza tra i grillini e i dimaiani. Oppure lasciare la maggioranza per una svolta “a sinistra” allo scopo di recuperare voti.
Ma questa prospettiva è alquanto complicata. In primo luogo perché il M5s rischia di trovarsi proprio quel campo già occupato alle prossime elezioni. E l’uscita di Di Battista ieri fa capire che i rischi ci sono. Poi c’è il fattore Grillo. Un retroscena de La Stampa dice che il Garante potrebbe giocare su due tavoli questa partita. Ovvero ufficialmente stare con Conte e ufficiosamente aiutare Di Maio, che coinvolgerebbe nel suo progetto anche il sindaco di Milano Beppe Sala, molto vicino all’ex comico. In questo caso il bivio sono le prossime elezioni. Un Grillo non così entusiasta (eufemismo) di Conte potrebbe attendere i risultati per fare quello che aveva in mente di fare già tempo fa: salutare Giuseppe.
Un (metodo) Draghi a rischio
Infine c’è Draghi. Che ieri ha incassato il sì del Senato e ha piegato Conte. Ma presto dovrà fare i conti con il bilancino. Perché è probabile che il M5s chieda un rimpasto puntando il ministero degli Esteri. E che, non ottenendo nulla, chieda almeno un riequilibrio per i posti di sottogoverno. Per cominciare. Perché nel medio e nel lungo periodo la crisi grillina può aprire le porte a una crisi nella maggioranza. Con l’obiettivo, scrive oggi Francesco Verderami, delle elezioni anticipate. Il governo per ora resta in piedi, supererà l’estate e dovrà affrontare la Finanziaria, che Draghi immagina di presentare il 20 di ottobre.
Ma le tante emergenze che dovrà affrontare in questi giorni potrebbero portare a un logoramento interno alla maggioranza. Stretta tra un Conte in pericolo e un Salvini che comincia a sentircisi. E allora a farne le spese potrebbe essere proprio Draghi. E il suo “metodo”, che in molti speravano di portare avanti oltre il 2023. Ma il premier è quello che rischia meno di tutti. Gli altri due nei prossimi mesi si giocano tutto il loro futuro politico.
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