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Scissione M5s, ora Di Maio rischia di dover pagare la multa da 100 mila euro che lui stesso ha voluto

luigi di maio multa 100 mila euro m5s
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I contiani vogliono imporre la sanzione per i voltagabbana all'ex Capo Politico che l'aveva istituita. In ballo anche i soldi delle restituzioni. Intanto lui cerca l'intesa con Tabacci per il gruppo in Senato

Era il febbraio 2018, il Movimento 5 Stelle era impegnato nella campagna elettorale. Il Capo Politico designato Luigi Di Maio fu chiarissimo: «Chi dovesse cambiare partito e collocazione dopo essere stato eletto con noi pagherà una multa da 100 mila euro. Così ci penserà su un migliaio di volte prima di tradire la fiducia che ha ricevuto». E siccome bisogna sempre stare attenti a ciò che si desidera perché rischia di avverarsi, ora potrebbe essere arrivato il momento. Ovvero proprio Di Maio potrebbe essere chiamato a pagare la famosa “multa da 100 mila euro” che il M5s ha utilizzato per la sua campagna elettorale contro i voltagabbana che tanti voti gli ha portato alle ultime elezioni. Perché nel consiglio nazionale grillino tenutosi ieri sera c’è chi ha proposto di multare lui e gli altri transfughi finiti in Insieme per il futuro.

I soldi delle restituzioni

Le multe da 100 mila euro nei confronti dei transfughi non sono mai state applicate dal M5s. Che ha perso parlamentari dall’inizio della legislatura. Ma adesso, spiega un retroscena di Repubblica, potrebbe essere arrivato il momento giusto per muoversi. D’altro canto «è stato proprio Di Maio a pretenderle quando ci siamo candidati nel 2018», spiega un vicepresidente M5s al quotidiano. In ballo ci sarebbero anche i soldi delle restituzioni. Perché molti tra quelli che hanno lasciato il gruppo grillino erano indietro anche su quelle. «Il grosso dei parlamentari morosi è andato via, paghino almeno quelle…», si è detto ieri in assemblea. Sul tema, però, Giuseppe Conte è più cauto. L’ex Avvocato del Popolo concede l’onore delle armi a Di Maio («Nessun rancore, ha fatto parte della nostra storia»). Poi è sibillino sull’appoggio del M5s al governo: «Ci sono nuovi numeri che sostengono il Governo con il gruppo fondato da Luigi e i nostri amici? Benissimo, vorrà dire che avremo più tranquillità di portare avanti le nostre battaglie senza sentire il peso del ricatto di far eventualmente cadere l’emisfero occidentale».

Intanto nel partito di Grillo c’è anche dibattito sul divieto di terzo mandato. Quello che tutti i grillini rimasti con Conte indicano come l’unico motivo che ha spinto Di Maio a lasciare è ancora in bilico. Perché il leader M5s era orientato a chiedere un voto all’assemblea grillina per spogliarsi di una decisione difficile e potenzialmente impopolare. Ma per ora è tutto rinviato. Perché, spiega oggi un retroscena del Fatto Quotidiano, oltre al muro di Grillo (contrario al cambio di regole) ci sono anche le proteste dei veterani. Che fanno notare come perderebbero di autorevolezza se arrivasse un voto contrario al terzo mandato mentre loro sono ancora in parlamento. Intanto il ministro degli Esteri tesse la sua tela. Ed esercita un certo fascino anche in chi è rimasto nel M5s. Il capogruppo alla Camera Davide Crippa, l’ex ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina e l’ex guardasigilli Alfonso Bonafede sono in bilico.

Il lodo Tabacci

Intanto si sta lavorando in queste ore alla costituzione del gruppo di Luigi Di Maio ‘Insieme per il futuro’ anche al Senato. A Palazzo Madama è necessario l’uso di un simbolo presentato alle ultime politiche: e secondo quanto ha scritto l’Adnkronos ci sarebbe l’accordo con Bruno Tabacci per l’utilizzo del simbolo di Centro democratico. Alla Camera, invece, il gruppo “Insieme per il futuro” è già stato costituito senza utilizzo di altri simboli, visto che il regolamento non lo prevede. Ieri il ministro degli Esteri ex M5S avrebbe sentito Tabacci per l’accordo sull’uso del simbolo.

Infine ci sono i soldi del parlamento. I gruppi parlamentari ricevono contributi per le loro attività, erogati attingendo dal bilancio di Montecitorio e di Palazzo Madama. Si tratta di soldi pubblici. Nel caso del M5S (che solo recentemente ha avviato l’iter per partecipare al 2 per mille) il mancato introito causato dalla scissione significherà quasi 2,5 milioni in meno. Che dovrebbero andare ai dimaiani.

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