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Ecco come le lobby del gas continuano a sostenere gli interessi di Mosca in Europa. Nonostante i divieti – L’inchiesta

I silenzi sullo stop al gas russo, gli incroci con Gazprom e il partito di Putin, il nodo dei pagamenti in rubli: a Bruxelles montano i sospetti su due gruppi di pressione. Che però rispondono: «Sosteniamo pienamente il rispetto del regime di sanzioni dell'Ue»

Il giorno precedente l’invasione russa dell’Ucraina, a Bruxelles si tenne un incontro del Gas Coordination Group (Gcc). L’organismo, a cui partecipano anche alcune delle principali lobby del gas, davanti alla minaccia sempre più concreta di un conflitto si confrontò con la Commissione europea sulle misure da adottare per far fronte al rischio di un taglio delle forniture. Era il 23 febbraio. Da allora si sono tenuti altri tre incontri del Gcc (11 marzo, 29 marzo e 13 maggio) e, in tutte le occasioni, il gruppo – che ha il compito di dare pareri alla Commissione nell’eventualità di un’emergenza a livello comunitario – ha insistito sulla centralità delle forniture di gas per l’Unione europea, invitando anzi a rafforzare l’impegno sul fronte del gas naturale liquido (Gnl).

Nell’incontro del 29 marzo, venne discussa anche la questione del pagamento del gas russo in rubli da parte delle aziende Ue. Vladimir Putin aveva annunciato la stretta da sei giorni e, nel corso della riunione del Gcc, emerse quella che sarebbe poi diventata la controversa linea della Commissione europea: «La Commissione dovrebbe attenersi ai termini del contratto e insistere sul pagamento in euro o dollari», si legge nella nota stilata al termine dell’incontro del Gcc. Nei giorni seguenti, la Commissione non chiarì se l’apertura di un doppio conto – uno in euro o dollari per il pagamento delle forniture e uno per la conversione del pagamento stesso in rubli – rappresentasse una violazione delle sanzioni Ue contro la Russia.

Il caso Eni e le critiche alla Commissione Ue

Ansa | Vladimir Putin partecipa all’EU Russia Summit, Bruxelles, Belgio, 28 gennaio 2014

Nelle scorse settimane, la Commissione Ue è stata accusata di avere un approccio ambiguo e permissivo nei confronti di Mosca sulle sanzioni in materia di gas. Quando lo scorso 17 maggio Eni ha annunciato che avrebbe aperto un conto in rubli per continuare gli scambi commerciali di gas con la Russia, una fonte qualificata ha spiegato a Open che proprio la mancanza di linee guida europee chiare aveva permesso all’azienda di muoversi in «un vuoto legislativo non casuale». «Se le regole sui pagamenti non sono esplicite, c’è un motivo – ha detto la fonte -, nessuno dei grandi Stati europei vuole e può rinunciare alle forniture da Mosca».

A giugno, durante il Forum economico internazionale di San Pietroburgo, il vicepremier russo Alexander Novak ha fatto sapere che circa il 90-95% del gas fornito all’Europa dalla Russia viene oggi pagato in rubli. Nel conteggio di Novak rientrano anche i pagamenti in altre valute (ad esempio l’euro) poi convertiti dalla Gazprombank. A maggio Novak aveva dichiarato che, su 54 aziende europee che hanno contratti per le forniture di gas con Gazprom, circa la metà avrebbe aperto un conto in rubli. Chi possiede l’elenco dei clienti europei di Gazprom è l’ufficio della Commissione all’Azione Climatica e all’Energia che, dopo un primo sì, ha fatto un passo indietro sulla diffusione della lista completa. Finora solo alcune società energetiche hanno annunciato di aver aperto un conto in rubli con Gazprombank: oltre la metà di loro è legata alle lobby del gas che operano tutt’ora nelle istituzioni europee.

La stretta a metà contro le lobby filo-Mosca

Negli ultimi 11 anni, il numero di lobby iscritte al Registro per la trasparenza dell’Unione europea è costantemente aumentato: dalle 545 del luglio 2011 alle 13.573 del febbraio 2022. Il dato è calato per la prima volta dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Al momento, risultano registrate 12.425 lobby (dato aggiornato al 16 giugno 2022, ndr). Il 2 giugno scorso, la presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola ha annunciato che i lobbisti che rappresentano aziende con sede in Russia non possono più accedere al Parlamento. Il divieto, tuttavia, non si applica alle società che rappresentano gli interessi di Mosca ma hanno sede in Paesi europei. Stando a quanto denunciato dalla Ong Global Witness, è il caso di Eurogas e Gas Infrastrutture Europe (Gie). Entrambe le organizzazioni, iscritte al Registro per la trasparenza, hanno sede a Bruxelles, in Belgio, fanno parte del già citato Gas Coordination Group e secondo quanto ricostruito hanno legami profondi con la Russia.

L’aumento del numero di lobby iscritte al Registro europeo per la trasparenza dal 2011 a oggi

I membri di Eurogas che hanno aperto conti in rubli

Fondata nel 1990, Eurogas ha otto rappresentanti iscritti nel Registro per la trasparenza, autorizzati a tenere colloqui ai più alti livelli con esponenti delle istituzioni Ue. L’associazione riunisce 63 aziende europee coinvolte nella distribuzione, la vendita al dettaglio e all’ingrosso di gas in Europa, inclusi giganti dei combustibili fossili come Eni, Shell e Total. Secondo quanto raccolto da Open, almeno 12 di queste compagnie hanno contratti con Gazprom per la fornitura di gas russo:

  • Engie (Francia);
  • Eni (Italia);
  • E.On (Germania);
  • Depa (Grecia);
  • Galp (Portogallo)
  • GasTerra (Paesi Bassi);
  • Geoplin (Slovenia);
  • Latvijas Gaze (Lettonia);
  • Rwe (Germania);
  • Spp (Slovacchia);
  • Uniper (Germania);
  • Vng (Germania).

Di queste, solo l’olandese GasTerra ha annunciato di non essere disposta ad accettare le condizioni del Cremlino per il pagamento delle forniture, rifiutandosi di aprire un conto in rubli. Un annuncio che, lo scorso 30 maggio, ha portato alla decisione da parte di Gazprom di interrompere il flusso di gas verso i Paesi Bassi. L’Aia, va ricordato, si appoggia al gas russo solo per il 5% dei consumi: il resto è autoproduzione e per il 15% Gnl (gas naturale liquido, ndr).

Viceversa, ben 7 delle 10 compagnie europee che al momento hanno annunciato l’apertura di conti in rubli sono membri di Eurogas: la francese Engie, l’italiana Eni, le tedesche Rwe, Uniper e Vng, la slovacca Spp e la slovena Geoplin. Non solo. Lo scorso aprile, la lettone Latvijas Gaze ha aperto al pagamento in valuta russa. A fine maggio, la greca Depa ha fatto sapere di avere concluso il pagamento per le forniture di gas a Gazprom, senza tuttavia specificare se questo sia avvenuto in rubli.

«Si tratta di accordi privati tra le singole compagnie e Gazprom», commentano fonti qualificate di Eurogas, «non sono scelte che dipendono da noi». James Watson, secretary general di Eurogas, chiarisce a Open: «Sosteniamo pienamente il rispetto del regime di sanzioni dell’Ue come risposta alla brutale invasione dell’Ucraina». Quanto all’attività di lobbying dell’associazione, «incontriamo regolarmente i decisori politici, discutendo di come le proposte legislative possono favorire o ostacolare i nostri obiettivi su gas e decarbonizzazione», dice Watson, smentendo però qualsiasi tipo di allineamento tra Eurogas e Mosca.

Il legame con la Russian Gas Society e il deputato putiniano Zavalny

Dal 2006 all’inizio del 2022, Eurogas ha rappresentato – tra le altre aziende – anche la Russian Gas Society (Rgs). Le compagnie che fanno parte della Rgs producono più del 97% del gas russo, si legge sul profilo dell’associazione, guidata dal parlamentare russo Pavel Zavalny. Deputato del partito di Putin Russia Unita, Zavalny è stato, in passato, direttore generale di Gazprom Transgaz Yugorsk, società controllata da Gazprom, e dal 2015 presiede il Comitato per l’energia della Duma, la Camera bassa del Parlamento russo. Tra le figure apicali della Russian Gas Society figurano anche Markelov Vitaly Anatolievich, membro del board di Gazprom, e Shamsuarov Azat Angamovich, vicepresidente del colosso statale Lukoil. Lo scorso marzo, in seguito all’invasione dell’Ucraina, Eurogas ha sospeso la Russian Gas Society ed eliminato ogni riferimento all’associazione moscovita dal proprio sito web.

«La Russian Gas Society è stata sospesa ma non espulsa», commentano Global Witness a Open, «è attraverso organizzazioni come Eurogas che Gazprom è coinvolta nel lavoro di lobbying europeo». Secondo la Ong, che cita la stessa Russian Gas Society, l’associazione con base a Mosca ha preso parte a una decina di riunioni e gruppi di lavoro di Eurogas: «Adesso forse non verrà più invitata, ma la politica di Eurogas non è cambiata, e questo ci dice che l’allineamento con gli interessi della Russia c’è ancora». Il riferimento è alla refrattarietà dei colossi energetici europei, e di chi li rappresenta nelle istituzioni Ue, a tagliare la dipendenza dal gas: «Dicono: “La soluzione è più gas, più Gnl, più idrogeno“. Questa posizione arriva da qualche parte», continuano da Global Witness. «Gazprom vuole diventare il primo produttore di idrogeno al mondo, per esempio. Quanto ai membri di Eurogas, molti hanno ancora investimenti in Russia e dipendono da Gazprom. Non accetterebbero una presa di posizione forte contro il gas russo».

Il dibattito sullo stop al gas russo entro il 2027

ANSA/ANATOLY MALTSEV | Gazprom, San Pietroburgo, Russia

Quando a marzo la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato l’accordo tra i leader Ue sullo stop a gas e petrolio russi entro il 2027, Eurogas ha rifiutato di sostenerlo pubblicamente. Parlando con Open, Watson ha commentato: «Noi stiamo seguendo la linea tracciata dalle istituzioni dell’Ue. Le azioni della Russia hanno fatto crescere i dubbi sull’affidabilità del Paese come fornitore». Una presa di posizione ritenuta troppo timida da Global Witness: «È come dire “non infrangeremo la legge”, il che dovrebbe essere scontato», dice il senior campaigner Barnaby Pace. «Con queste parole Eurogas è ben lontana dal sostenere attivamente i piani dell’Unione europea per uscire dal gas russo e solleva seri interrogativi sul modo in cui stanno usando il loro accesso privilegiato ai più alti livelli della politica energetica dell’Ue».

Dal 2014, Eurogas si è assicurata oltre 50 incontri con funzionari della Commissione europea e ha membri nei consigli di esperti che forniscono consulenza alla stessa Commissione, come il Gcc. I rapporti con le istituzioni Ue sono così stretti che la commissaria per l’Energia Kadri Simson è intervenuta alla conferenza annuale di Eurogas del 2022, inizialmente prevista per marzo e poi rinviata al 14 giugno a seguito dello scoppio della guerra. Anche Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea con delega al Green Deal, aveva tenuto uno speech nella conferenza del 2021.

Gas Infrastructure Europe non taglia i ponti con Gazprom

Un’altra lobby europea accusata di mantenere legami con Mosca nonostante le sanzioni Ue è Gas Infrastructure Europe (Gie). Tra le 68 compagnie che fanno parte dell’associazione figurano Gazprom Germany e Astora, entrambe controllate di Gazprom (ora la Germania ha preso il controllo temporaneo della filiale tedesca di Gazprom, ndR). Stando a quanto risulta a Open, dopo l’invasione russa dell’Ucraina Gie non ha interrotto i legami con le due aziende, che continuano a essere membri dell’associazione. Gazprom fornisce circa il 40% delle importazioni di gas fossile della Germania. Astora gestisce un quarto dello stoccaggio di gas nel Paese e ha impianti anche in Austria. Tra i membri di Gie ci sono anche quattro aziende europee che hanno contratti con Gazprom per la fornitura di gas: le tedesche Rwe, Uniper e Vng e l’austriaca Omv. Tutte hanno accettato di aprire conti in rubli. Interpellati da Open, Gie non ha mai risposto alle domande di chiarimento.

Nuovi orizzonti di mercato

L’attività delle lobby – e di Eurogas in particolare – non si è fermata nemmeno davanti al piano per la transizione ecologica europea. L’associazione, anzi, ha fatto del rinnovabile la sua nuova bandiera. Come ha spiegato lo stesso Watson, al momento la società è impegnata nella «decarbonizzazione», promuovendo progetti con idrogeno e biometano: «Lo scopo di Eurogas – dice a Open – è accelerare la transizione verso la neutralità climatica attraverso il dialogo e l’advocacy verso un’ottimizzazione dell’uso dei gas». Ma idrogeno e biometano, notano da Global Witness, continuerebbero a fluire attraverso l’infrastruttura del gas esistente, consentendo a molte società del gas di mantenere il proprio modello di business per i decenni a venire». Verde o no, l’industria del gas continua a esercitare una pressione importante sulle istituzioni.

La Commissione europea, comunque, non ha interesse a mantenere a lungo rapporti così stretti con Mosca. L’Ue – e quindi le aziende che operano nel territorio europeo – vuole puntare sempre di più su una più solida collaborazione con gli Stati fornitori di Gnl, il gas naturale liquido che viene trasportato via mare. Mentre il prezzo del gas schizza a causa del taglio delle forniture lungo il gasdotto Nord Stream 1, la stessa Eni ha annunciato di essere entrata nel più grande progetto al mondo di Gnl in Qatar – un progetto dal valore di 29 miliardi di dollari che punta ad aumentarne la produzione annuale. Anche le attività di lobbying, quindi, potrebbero cambiare a breve. Il segretario generale di Eurogas ha dichiarato che «le azioni della Russia hanno portato a crescenti dubbi sull’affidabilità del Paese come fornitore», facendo intendere cambiamenti in arrivo. La società ha anche confermato di essere stata coinvolta in una «riunione ad alto livello» per il commercio di Gnl tra Ue e Usa, «allo scopo di aiutare negli sforzi di diversificazione».

Foto in evidenza: elaborazione grafica di Vincenzo Monaco

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