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Caso Borsellino, prescrizione per i poliziotti Bo e Mattei nell’inchiesta sul depistaggio. Assolto Ribaudo

12 Luglio 2022 - 21:14 Ygnazia Cigna
L'accusa era di calunnia aggravata dall'aver favorito la mafia

Sono state prescritte le accuse a due dei tre poliziotti indagati per avere depistato l’inchiesta sull’attentato a Paolo Borsellino. Si tratta di Mario Bo e Fabrizio Mattei, mentre Michele Ribaudo, il terzo imputato, è stato assolto «perché il fatto non costituisce reato». Secondo l’accusa, i due poliziotti Mario Bo e Fabrizio Mattei avevano costretto Vincenzo Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Andriotta, ad autoaccusarsi e di fare i nomi di altre 7 persone innocenti. Per Scarantino il tribunale di Caltanissetta ha rinviato gli atti alla procura affinché valuti se procedere o meno al reato di calunnia anche per lui.

I falsi collaboratori di giustizia, secondo l’accusa dei pm, avrebbero aiutato i veri colpevoli a non essere identificati, coprendo per diversi anni i gruppi i clan di Cosa Nostra di Brancaccio, dei suoi capi e dei fratelli Graviano. Da qui la contestazione di calunnia aggravata dall’avere favorito la mafia. Il venire meno dell’aggravante ha determinato la prescrizione del reato. Nella strage di via d’Amelio, avvenuta il 19 luglio 1992, morirono il magistrato Borsellino e suoi 5 agenti della scorta.

I commenti degli avvocati

La decisione è stata presa nell’ambito del processo sul depistaggio delle indagini della strage d’Amelio, definito dai giudici dell’ultima sentenza come «il più grave della storia della Repubblica». L’avvocato del poliziotto Mario Bo si è detto «insoddisfatto» della sentenza perché il suo assistito, a suo dire, è «completamente estraneo ai fatti contestati». Il legale ha riferito che rispetta la decisione, ma che leggerà bene le motivazioni del giudice per delineare «gli aspetti che potranno costituire i motivi di appello». Della stessa linea anche la difesa di Mattei e Ribaudo, che non esclude la possibilità di presentare appello nel caso «vi fosse un solo elemento nella sentenza che possa turbare l’onore» dei propri assistiti.

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