Draghi e il dilemma delle dimissioni: l’ipotesi voto a settembre e l’ultima mediazione di Mattarella
Aventino contro Quirinale. Il Movimento 5 Stelle non parteciperà al voto sul Ddl Aiuti. E Mario Draghi è pronto a salire al Colle oggi stesso. Per dare le dimissioni. Lasciando così le decisioni finali sul governo a Mattarella. Con l’ombra del voto a settembre (il 25) o a ottobre (il 10). E la possibilità di varare un esecutivo tecnico che scriva la legge di bilancio prima di portare il paese alle urne. Sul fronte del Colle però la prospettiva è diversa. Il presidente della Repubblica pensa di poter rimandare il governo alle camere per un nuovo voto di fiducia. Che però rischia di aprire una fase nuova della maggioranza. Ma su questo il centrodestra è diviso. Da una parte Salvini dice che la Lega non resterà in un governo senza il M5s. Dall’altra Berlusconi vorrebbe andare avanti anche senza i grillini.
Il bivio di SuperMario
Cominciamo da Draghi. Ieri durante la telefonata con Giuseppe Conte ha spiegato al leader M5s che gli obiettivi che i grillini si prefiggono si possono raggiungere più facilmente restando in maggioranza invece che uscendone. Questo però è vero anche per lui. Nel senso che se lascia ora tutti i dossier più importanti gestiti dal suo esecutivo (Il Pnrr, la politica energetica, la riforma delle tasse) verranno gestiti da altri. Forse da Daniele Franco, se sono vere le voci che danno il suo fedelissimo pronto a prendere il suo posto per un governo balneare. Forse proprio da quei politici che oggi vogliono cacciarlo da Palazzo Chigi. Per la decisione finale potrebbe non esserci fretta. Nel senso che se davvero oggi Draghi salisse al Quirinale per dare le dimissioni, Mattarella potrebbe rinviare il governo alle camere per verificare la fiducia.
Il giorno decisivo a questo punto sarebbe martedì 19 luglio, ovvero il primo disponibile per un voto in Parlamento. Draghi potrebbe incassare la fiducia e andare avanti. Oppure concedere il bis che ha sempre negato finora. Con un rimpasto che tagli fuori i grillini dal governo, come ha chiesto Forza Italia. Ma, spiega oggi La Stampa in un retroscena, non sarebbero queste le intenzioni di SuperMario. Attorno a lui, racconta Ilario Lombardo, si comincia a parlare di dimissioni e qualcuno ha messo in guardia i leader sulle sue reali intenzioni. Per questo spunta la data del 10 ottobre per il voto anticipato. Anche perché il premier si è via via irrigidito anche dopo i blitz di Salvini. Quando diceva di non volersi infilare «in una tempesta di distinguo» intendeva proprio questo. Ovvero fare la pace con i 5s e trovarsi altre crepe in maggioranza.
Tirare a campare e tirare le cuoia
Da parte sua Draghi non ha intenzione di tirare a campare. Francesco Verderami sul Corriere della Sera spiega che il premier non vuole mettersi a capo di un esecutivo “balneare”. SuperMario rifiuta l’idea di gestire un “non governo”, spiega il quotidiano, e sa di essere vissuto dai partiti come un intralcio. «Se i partiti potessero…», ha detto qualche giorno fa senza finire la frase. Ma non ce n’era nemmeno bisogno. Il pronostico del quotidiano è che Draghi chiederà a Mattarella di non rinviarlo alle camere. Potrebbe restare per l’ordinaria amministrazione accompagnando il paese alle urne? Tecnicamente è possibile ma lui preferirebbe di no. «Meglio tirare a campare che tirare le cuoia», diceva Andreotti. Draghi la pensa diversamente.
Anche secondo Repubblica il governo Draghi è ai titoli di coda. Il premier salirà al Colle dopo l’Aventino del M5s in quella che per il Quirinale è ancora una crisi extraparlamentare. E dipenderà da SuperMario cosa succederà subito dopo le eventuali dimissioni. Anche perché nel gennaio scorso, quando Conte era in bilico, Mattarella lasciò all’allora presidente del Consiglio la possibilità di andare avanti cercando voti tra i “Responsabili”. Ma i beninformati vicino al premier escludono che lui voglia tirare a campare: «Se andasse avanti facendo finta di niente – spiegano – dal giorno dopo sarebbe il Vietnam, ognuno sarebbe legittimato a votare solo quello che gli aggrada: il governo sarebbe paralizzato, restare non avrebbe senso»
Un altro governo o le elezioni
Il Fatto invece riferisce che sul fronte del Colle gli scenari ufficialmente non si fanno. Ma rispetto all’indisponibilità di Draghi a un bis ci sono solo due soluzioni alternative. La prima è quella di mandare il paese al voto subito: le elezioni in questo caso sarebbero segnate per il 25 settembre. Così il nuovo esecutivo avrebbe (in teoria e solo in caso di rapidissima formazione) anche il tempo di fare la manovra. La seconda, un governo sotto la guida di Franco, con il compito di fare la legge di Bilancio. Per poi portare il Paese al voto a febbraio. Ma d’altro canto Mattarella è anche l’unico che può convincere Draghi a restare. La moral suasion del presidente della Repubblica è l’ultimo scoglio che frena il mare della crisi.
In questo il presidente è spalleggiato dal Partito Democratico. L’agenzia di stampa AdnKronos fa sapere che Enrico Letta è pronto a chiedere una verifica per capire se una maggioranza c’è ancora oppure no. La moral suasion tentata in ogni modo dai dem si è infranta con la decisione dell’Aventino messa nero su bianco da Conte davanti ai parlamentari pentastellati. Una scelta, si osserva dal Pd, che rimette in discussione molto cose. Un chiarimento che per il segretario del Pd andrà fatto in Parlamento. Ogni forza della maggioranza qui dovrà assumersi le proprie responsabilità se continuare o meno l’esperienza di governo. E nel caso la fiducia venisse meno per il Pd, come già detto oggi da Letta davanti ai gruppi, la conseguenza logica sarebbero le elezioni.
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