Londra, la madre del 12enne Archie Battersbee sconfitta in tribunale: dopo 3 mesi in coma, via libera dei giudici a staccare la spina
La Corte d’Appello di Londra ha dato il via libera a «staccare la spina» ai macchinari che tengono in vita Archie Battersbee, un ragazzino di 12 anni che tre mesi fa ha subito un grave danno cerebrale mentre partecipava, stando alle testimonianze della madre, a una pratica diventata virale sui social, la cosiddetta «sfida del blackout», che consiste nell’arrivare il più vicino possibile al soffocamento e che, negli ultimi, anni ha causato pericolosi incidenti anche in Italia.
La sentenza dei giudici in appello
I giudici d’appello hanno convenuto che per Archie, trovato privo di conoscenza nella sua casa a Southend, nell’Essex, il 7 aprile scorso, non c’è più nulla da fare. E hanno definito «inutile» tenerlo in vita con la ventilazione assistita, accettando così come ragionevole il parere del Royal London Hospital che ha attualmente in cura il bambino. Secondo i medici dell’istituto una diagnosi irreversibile di morte delle cellule cerebrali, arrivati a questo punto, è «altamente probabile». La famiglia del bambino, sostenuta dai gruppi pro life, avrebbe già annunciato di non arrendersi e di voler tentare un ulteriore ricorso alla Corte Suprema.
L’incidente
Il 7 aprile scorso il piccolo Archie è stato trovato in casa completamente privo di coscienza con un laccio intorno al collo. La madre, Hollie Dance, aveva detto agli inquirenti che il figlio si era ridotto in quelle condizioni per aver partecipato alla sfida del blackout. Portato in ospedale, da quel giorno il bambino non ha più ripreso coscienza. A confermarlo è intervenuta la prima sentenza del giudice, secondo la quale Archie aveva subito una «lesione significativa in più aree» del cervello e non aveva «riacquistato consapevolezza in nessun momento».
In un’intervista rilasciata al Guardian, Dance aveva detto che il giudice «aveva commesso un bel po’ di errori» nel valutare il caso e che suo figlio stava mostrando dei piccoli segni di miglioramento. «Bisognerebbe continuare a curare Archie più a lungo», aveva detto la madre, «ci sono pazienti Covid che rimangono attaccati ai ventilatori dai sei ai 12 mesi, mentre lui ha avuto solo otto brevi settimane di trattamento».
Per i giudici «va staccata la spina»
Ma i giudici la pensano diversamente e l’hanno ribadito. «Con il più profondo rammarico» l’Alta Corte di Londra ha dovuto dire una volta per tutte alla famiglia che il bimbo non ha speranze di guarigione. Quello che gli è accaduto – stabilisce la sentenza – è «una tragedia di dimensioni incommensurabili», in linea con la diagnosi dei medici del Royal London Hospital, secondo i quali la morte di Archie è avvenuta al livello del «tronco cerebrale». Ora «è nel suo interesse interrompere le cure mediche», ha spiegato il giudice. «Continuare il trattamento è inutile. Serve solo ad allungare la sua morte, senza essere in grado di prolungargli la vita».
Le morti provocate dalla blackout challenge in Italia
La “morte cerebrale” di Archie, presumibilmente dovuta alla pericolosissima challenge online a cui il ragazzino avrebbe preso parte, riaccende i riflettori su altri casi di morti analoghe avvenute nel nostro Paese. A gennaio 2021 una catena di sfide lanciate sempre sul web ha provocato la morte di Antonella, una bimba di appena dieci anni che viveva a Palermo. Come nel caso di Archie, la piccola era stata trovata nel bagno di casa dai genitori con una cintura avvolta intorno al collo. La famiglia ha poi raccontato che la figlia «stava sempre incollata allo smartphone».
Dopo la morte di Antonella il Garante della Privacy aveva disposto il blocco dell’uso dei dati degli utenti per i quali non fosse stata accertata l’età anagrafica. Prima ancora di Antonella, nel 2018 a Milano era stato trovato morto il quattordicenne Igor Maj, anche lui autosoffocatosi con una corda per aver partecipato a una blackout challenge. Pure in quel caso la famiglia aveva parlato della sua dipendenza dai social, che spingeva il ragazzino a partecipare spesso a queste sfide perverse.
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