Il comitato Cedaw dell’Onu accoglie il ricorso di Differenza Donna: nei tribunali italiani stereotipi sessisti
Le donne hanno vinto per le donne. Il 18 luglio l’associazione Differenza Donna Aps, da oltre 30 anni in prima linea contro discriminazioni e violenze di genere, ha visto accolto il ricorso presentato al CEDAW –comitato delle Nazioni Unite che monitora l’applicazione della Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne – e ribadita la violazione dell’uguaglianza delle donne davanti alla legge da parte dei tribunali italiani.
La vittoria di Differenza Donna Aps
«Per la prima volta in Italia – scrivono gli avvocati Teresa Manente, Ilaria Boiano, Rossella Benedetti e Marta Cigna di Differenza Donna – il Comitato CEDAW ha accolto il nostro ricorso F. c. Italia iscritto al n. 148/2019 e ha riconosciuto che l’Italia ha violato gli articoli 2 (b)-(d) e (f), 3, 5 e 15 della CEDAW nei confronti di una donna che, già vittima di violenza domestica, ha subito uno stupro da un agente delle forze dell’ordine incaricato delle attività di indagini in corso sul maltrattamento subito dall’ex marito». L’agente delle forze dell’ordine era stato condannato in primo grado a sei anni di reclusione, poi assolto in secondo grado. La Cassazione ha infine confermato l’assoluzione. Una vittoria sperata quanto attesa, si potrebbe pensare.
Quel che, però, rappresenta un’ulteriore e non meno importante conquista, è la posizione assunta dal CEDAW nei confronti della magistratura giudicante. Secondo il Comitato, infatti, il trattamento riservato alla donna dalla corte d’appello prima e dalla Corte di Cassazione poi ha evidenziato «una chiara mancanza di comprensione dei costrutti di genere della violenza contro le donne, del concetto di controllo coercitivo, delle implicazioni e delle complessità dell’abuso di autorità, compresi l’uso e l’abuso di fiducia e l’impatto dell’esposizione ai traumi successivi».
I tribunali italiani e gli stereotipi sessisti
Il Comitato ha poi aggiunto che se non si riconosce l’esistenza di stereotipi sessisti e non si intraprendono azioni determinate per rimediare ai pregiudizi diffusi, qualsiasi modifica legislativa è vana, in quanto inaffidabile «per cambiare la realtà delle donne, che sono vittime in modo sproporzionato di violenze e abusi, che possono lasciare cicatrici (a volte invisibili) per tutta la vita e a livello intergenerazionale».
Le violazioni imputate ai tribunali italiani da parte del CEDAW sono ricondotte agli «stereotipi sessisti» duri a morire anche in sede giudiziaria, dove il consenso non è ancora riconosciuto come elemento dirimente della violenza sessuale. Pregiudizi e stereotipi sessisti sono linfa vitale per la disparità di genere, che impedisce alla donna di sentirsi davvero tutelata dalle istituzioni giuridiche, vissute, al contrario, come vettrici di discriminazioni e ri-traumatizzazioni.
L’impegno a “formare” una magistratura non discriminante
Le rappresentanti di Differenza Donna hanno ottenuto un altro importante traguardo: la garanzia di lavorare per correggere l’atteggiamento preconcetto della giustizia italiana nei confronti dei procedimenti sui reati sessuali. A tal fine sono stati incoraggiati programmi di formazione specifici per magistrati, avvocati, forze dell’ordine, personale medico e ogni altra parte interessata, al fine di far comprendere le dimensioni legali, culturali e sociali della violenza contro le donne e della discriminazione di genere.
Il Comitato ha anche raccomandato di predisporre un monitoraggio delle tendenze del ragionamento giudiziario, predisponendo meccanismi di denuncia e controllo in casi di stereotipizzazione giudiziaria. «Ciò significa – spiegano gli avvocati – che magistratura, avvocatura e tutti coloro che agiscono nella qualità di agente statale (forze dell’ordine, servizi sociali, personale socio-sanitario ecc.) e fanno ricorso a stereotipi e pregiudizi sessisti nel loro operato, ne debbano rispondere».
La centralità del consenso
Infine, a distanza di ventisei anni dalla riforma dei reati sessuali, l’Italia riceve dal CEDAW la doppia raccomandazione di modificare il reato di violenza sessuale, eliminando ogni riferimento a «condotte di violenza o minaccia», e di garantire la centralità del consenso della vittima «come elemento determinante» del delitto. Nell’invocare la difesa, l’imputato deve dimostrare – conclude l’Associazione – «la convinzione fondata di un consenso affermativo da parte della donna».
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