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La trattativa per il Draghi Bis, il governo senza M5s e il precedente di Scalfaro: gli scenari della crisi a 24 ore dallo showdown

crisi di governo draghi bis scalfaro
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Il premier tentato dalle dimissioni dopo il Senato. Il salva-Mario con i ministri grillini in uscita. E quella volta che Ciampi...

C’è un governo Draghi Bis pronto e senza M5s. Anzi no, si va verso le elezioni anticipate. A 24 ore dallo showdown al Senato le trattative vanno avanti a oltranza. E se da una parte c’è chi racconta di un accordo per un nuovo esecutivo senza ministri grillini, dall’altra si descrive un Mario Draghi pronto ad andare a dare le dimissioni subito dopo il suo intervento a Palazzo Madama, senza nemmeno ascoltare le repliche dei partiti. Nel frattempo dal Quirinale fanno notare che c’è un precedente. Quello di Oscar Luigi Scalfaro, che nel 1994 sciolse le camere senza effettuare consultazioni. Intanto tra i grillini in 24 si sono espressi per dare la fiducia al premier. Ma Giuseppe Conte durante l’assemblea degli eletti ha ribadito che la scelta spetta a lui.

Avanti a oltranza

La trattativa tra i partiti per il bis di Draghi va avanti a oltranza. Il tentativo di far partire il dibattito dalla Camera proprio per mostrare subito le divisioni interne tra i grillini non è andato a buon fine. Ora l’ultima chance è l’uscita dei governisti. Il Fatto Quotidiano scrive oggi che il Salva-Draghi è già pronto. Due ministri sono dati in uscita: Stefano Patuanelli e Fabiana Dadone. Mentre Federico D’Incà, che in questi giorni si è speso in più occasioni per il governo, resterebbe al suo posto. Secondo questo piano l’interim dell’Agricoltura andrebbe al premier, le politiche giovanili le prenderebbe il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi. Si parla anche di una data del voto prevista per inizio marzo. Un modo per spingere il centrodestra ad accettare il compromesso.

Già, il centrodestra. Che vorrebbe andare alle elezioni, possibilmente addossando la colpa ai grillini. Silvio Berlusconi lascia il suo rifugio in Sardegna e convoca una riunione con i suoi nella quale mantiene alta la tensione senza chiudere ufficialmente né in un senso né nell’altro. «Noi chiediamo stabilità per il paese, stabilità che non si può avere con il M5s al governo. La soluzione è o un governo Draghi senza 5s o si va a votare», fa sapere a riunione in corso il coordinatore di FI Antonio Tajani. Anche Salvini si tiene in equilibrio tra attestati di stima a Draghi e reprimende al M5s. L’unico ottimista è Matteo Renzi: «Penso che andrà a finire così, che Draghi farà prevalere il senso delle istituzioni e che il finale sarà che Draghi torna a Chigi e Conte torna a casa». Si tratta della stessa soluzione prospettata ieri da un altro ex premier: Mario Monti.

Cosa pensa il premier

E il presidente del Consiglio cosa pensa di tutto questo? Il Corriere della Sera fa sapere che Draghi non ha intenzione di mettersi al telefono per ricevere rassicurazioni dai leader politici. Si dice che il premier sia lusingato dagli appelli in suo favore e dalle manifestazioni di vicinanza. Oggi, dopo il rientro da Algeri, dovrà finire di scrivere il discorso che leggerà al Senato (e che vuole solo mandare alla Camera, senza presentarsi per salire prima al Colle). Il premier è in ascolto e in attesa che qualcuno proponga una soluzione accettabile per andare avanti comunque. Ma l’ultimo giorno per un’intesa è oggi. Se non arriverà un accordo di massima ci sarà poco da fare se non dimettersi.

Per La Stampa invece Draghi è tentato dal bis. D’altro canto il premier sa benissimo che sciogliere le camere a luglio significherebbe non avere alcuna certezza sul destino della legge di Bilancio, con il probabile esercizio provvisorio. E quindi da un lato, spiega Alessandro Barbera, c’è la prospettiva concreta di restare a Palazzo per tre mesi da dimissionario senza avere i poteri necessari a gestire l’emergenza. Dall’altra quella di restare con una maggioranza che dal giorno dopo la sue eventuale riconferma riprenderebbe a dividersi su tutto. La soluzione sarebbe una risoluzione di maggioranza che gli confermi con forza la fiducia. Ma la voterebbero tutti i deputati e senatori M5s?

Il precedente

Intanto al Quirinale sfogliano l’album dei precedenti. E ritornano al 1994, quando il governo di Carlo Azeglio Ciampi (non a caso, un altro ex banchiere centrale) rischiava di cadere con una sfiducia in Aula. Era l’epoca di Tangentopoli, il parlamento era funestato dagli avvisi di garanzia. A premere per la cacciata, ricorda oggi Marzio Breda sul Corriere della Sera, era la sinistra dei progressisti. E questo perché la «gioiosa macchina da guerra» dell’allora segretario Achille Occhetto (promotore della svolta della Bolognina e del cambio di nome e simbolo del PCI) sentiva come sicura la vittoria. Alla fine Scalfaro sciolse le camere lasciando Ciampi a gestire Palazzo Chigi fino alle urne. Che arrivò a maggio di quell’anno. E chi vinse le elezioni? Berlusconi.

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