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Gas, cuneo fiscale, pensioni: cosa succede con l’addio al governo Draghi e l’ipotesi che rimanga in carica fino a ottobre

governo draghi dimissioni caduta cosa succede
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Oggi il premier alla Camera e poi da Mattarella per le dimissioni. Decreto di luglio svuotato, niente taglio dell'Iva, stop al Ddl Concorrenza. E l'incognita Pnrr

Oggi Mario Draghi salirà al Quirinale per dare le dimissioni e chiudere così l’esperienza del suo governo. Il premier annuncerà alla Camera il suo addio e poi andrà da Sergio Mattarella. Il quale con tutta probabilità scioglierà il Parlamento e indirà nuove elezioni per il 2 ottobre. Ma cosa succede con l’addio al governo Draghi e quali dossier dovrà gestire il nuovo esecutivo? Con il governo che probabilmente rimarrà in carica soltanto per gli affari correnti e lo sconto delle accise prorogato fino al 21 agosto, il decreto di luglio finisce svuotato. Sarà possibile recuperare gli aiuti sulle bollette ma non il taglio del cuneo fiscale né quello dell’Iva. Stop anche al Ddl concorrenza e alla riforma fiscale così come a quelle di giustizia e processi tributari. Ma soprattutto c’è l’incognita Pnrr. Per ricevere la rata da 19 miliardi di euro bisognava raggiungere altri 55 obiettivi entro fine anno. Ora il target è a rischio.

Le riforme a rischio

Prima di tutto con l’addio del governo Draghi è quindi a rischio il decreto “corposo” annunciato dal ministro dell’Economia Daniele Franco ai primi di luglio. Con l’aumento delle entrate l’esecutivo si trovava una dotazione di 23,4 miliardi di euro. Che avrebbe consentito di replicare l’intervento sul bonus 200 euro. E iniziare la riforma del cuneo fiscale che avrebbe portato 100-150 euro in più nelle tasche dei lavoratori che guadagnano di meno. Si ragionava anche sulla possibilità di ridurre l’Iva su alcuni beni di consumo per combattere l’inflazione. Il ministro Orlando stava anche lavorando all’introduzione dei trattamenti economici complessivi come base per il salario minimo. Il taglio delle accise, come gli aiuti sulla benzina, dovrebbe essere invece ulteriormente prorogato. Nessuna correzione potrà infine scattare per il reddito di cittadinanza.

Poi c’è il capitolo Recovery Plan. Gli obiettivi dei primi due semestri sono stati raggiunti e sono arrivati 45,9 miliardi di euro dall’Unione Europea. In arrivo dovrebbero essercene altri 21. Ma per la nuova rata da 19 miliardi bisogna raggiungere 55 obiettivi. La crisi di governo mette a rischio target e scadenze. Per le infrastrutture digitali, il sostegno al turismo, la lotta al sommerso. Poi ci sono anche le ferrovie, la banda larga, gli asili nido. In ballo anche i decreti delegati della riforma del codice degli appalti, per i quali però c’è tempo fino a marzo 2023. Ma anche il disegno di legge sulla concorrenza, che toccava i servizi pubblici locali come i taxi e le concessioni balneari. Proprio quei temi su cui ieri Draghi ha lanciato una frecciata alla Lega durante il discorso in Senato.

Gas, Superbonus, pensioni

Il governo stava discutendo con i sindacati anche su una riforma delle pensioni. La Stampa ricorda oggi che dopo l’esaurimento di Quota 102 si lavorava all’introduzione di meccanismi di flessibilità in uscita. Prevedendo la possibilità di lasciare il lavoro a 62-63 anni ma prendendo quanto versato: l’anticipo per tutti resterà al palo. Niente revisione per il Superbonus 100%: le criticità sulla cessione dei crediti fiscali non saranno risolte. Lo scorso autunno il governo ha anche dato il via al disegno di legge delega per la revisione del fisco e poi con la legge di bilancio ha compiuto i primi passi in direzione della riforma avviando la revisione dell’Irpef e la riforma del sistema della riscossione. Gli obiettivi erano ridurre le aliquote Irpef a partire dai redditi medio-bassi, superare l’Irap e razionalizzare l’Iva.

Al palo rimarrà anche il piano energia. L’intenzione, ricorda il quotidiano, era quella di diversificare le fonti accelerando sulle rinnovabili ed adeguando le infrastrutture. Nel programma del governo c’era l’installazione dei due rigassificatori a Ravenna e Piombino, quest’ultimo da terminare entro la prossima primavera: «È una questione di sicurezza nazionale», ha ricordato ieri Draghi. Segnalano le proteste in Toscana contro la messa in funzione di una delle due navi rigassificatrici acquistate dalla Snam. A livello europeo la linea è di continuare a battersi per «un tetto al prezzo del gas russo e per la riforma del mercato elettrico».

L’ipotesi di rimanere in carica per gli affari correnti

In attesa della salita al Quirinale dopo il passaggio alla Camera si attende anche una decisione sulla gestione degli affari correnti. Dopo questo passaggio al Quirinale, il Capo dello Stato dovrebbe incontrare i presidenti delle Camere, come prescrive la Costituzione, per poi sciogliere le Camere. Una volta sciolte le camere il governo dovrebbe scegliere la data del voto, in autunno, tra il 18 settembre e il 2 ottobre, molto probabilmente. Nel frattempo, appunto, Draghi potrebbe gestire l’attività di governo ordinaria, come già fece uno dei suoi predecessori in Bankitalia, Carlo Azeglio Ciampi, quando a gennaio del 1994 rassegnò le dimissioni. Che furono respinte dal presidente Scalfaro.

Un’ipotesi che fa oggi anche Mario Monti in un’intervista rilasciata proprio a La Stampa: «Ora Draghi va al Quirinale, ma il governo non è stato sfiduciato e, almeno sinora, le dimissioni non sono state accolte. Vale il precedente del gennaio1994, quando il presidente della Repubblica Scalfaro ricevette le dimissioni di Ciampi e le respinse. A quel punto, convocò i presidenti di Camera e Senato e indisse le elezioni. Ma il governo restò in sella. Se questo dovesse avvenire, ma dipende naturalmente dal capo dello Stato, il governo Draghi sarebbe nella pienezza dei suoi poteri. Potrebbe andare oltre gli affari correnti in attesa del successore. Con la conseguenza che essere in grado di impostare la legge di bilancio e procedere nella gestione del Pnrr».

I pieni poteri?

C’è un’ultima ipotesi che si ricollega alle parole di Monti. Il Corriere della Sera fa sapere che secondo il costituzionalista Alfonso Celotto il capo dello Stato, Sergio Mattarella, può sì accettare le dimissioni e secondo l’articolo 88 sciogliere le Camere. Lasciando Draghi in carica per il disbrigo degli affari correnti. Senza però capacità programmatica. Si concludono le attività già in corso e, al bisogno, si affrontano imprevisti. In caso di emergenza si possono emanare decreti legge. Ma c’è anche una seconda opzione. Mattarella potrebbe respingere le dimissioni e sciogliere le Camere. In questo caso Draghi sarebbe ancora nella pienezza dei poteri e lo resterebbe fino al nuovo governo, secondo l’articolo 92. Potrebbe emanare disegni di legge e decreti legislativi e anche effettuare nomine.

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