Cassazione, non bastano nome e simbolo perché un partito sia fascista: la sentenza sul caso del “Movimento fasci italiani del lavoro”
Non basta l’uso del fascio littorio come simbolo o la presenza della parola “fasci” nel nome di un partito per condannarlo di apologia di fascismo. A stabilirlo è la Corte di Cassazione che con la sentenza depositata il 20 luglio (n. 28565) conferma l’assoluzione in primo grado nei confronti dei nove membri dell’associazione politica Movimento fasci italiani del lavoro (Mfl). Nel 2017, la lista aveva partecipato alle elezioni comunali di Sermide e Felonica, in provincia di Mantova, presentando come candidata sindaco Fiamma Negrini, figlia del leader Claudio, ottenendo il 10% dei voti ed entrando nel consiglio. La Procura di Mantova li accusò di «ricostruzione del Partito Fascista», di svolgere propaganda razzista e compiere manifestazioni pubbliche di carattere fascista, per questo il pm aveva chiesto pene dai 18 mesi ai 4 anni. La sentenza di primo grado arrivò il 22 marzo del 2019. In quel giorno, il gup del Tribunale di Mantova decise di assolvere tutti gli imputati in quanto, a suo avviso, le accuse erano infondate: la natura fascista del partito non è sufficiente per affermare la ricostruzione del partito fascista.
I punti del programma
Per arrivare a questa decisione, sono stati esaminati tutti i punti del programma del Movimento. Cosa che ha evidenziato vari aspetti discordanti. Ad esempio, in uno dei punti gli esponenti del Mfl criticavano il ruolo svolto dai partiti nel secondo Dopoguerra, ma comunque non ne proponevano l’abolizione. E ancora, contenevano riferimenti indiretti alla propaganda antisemita, ma scrivevano di rifiutare ogni forma di discriminazione razziale. Infine, il corporativismo tanto caro alla dottrina fascista lo interpretavano come volto a mantenere la salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali, senza riferimenti alla violenza come metodo di lotta politica.
Un tentativo fallito
Insomma, per il giudice il Movimento fasci italiani del lavoro non rappresentava una minaccia per la democrazia. Sia per il suo numero di elementi attivi, circa 15, sia perché pieno di parole svuotate dal loro significato storico. L’esaltazione al fascismo si limitava a un elogio continuo di frasi e discorsi di Benito Mussolini, senza però mai indicare nel programma degli obiettivi coerenti con l’ideologia del Ventennio. La Cassazione ha quindi confermato quella sentenza, scrivendo anche che l’intera storia si sarebbe potuta interpretare come un tentativo fallito di accreditare le proprie convinzioni nell’ideologia del partito fascista disciolto.
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