Giorgia Meloni e il fattore M come Mussolini: «E adesso come facciamo con Mattarella?»
Giorgia Meloni va all’attacco sul “pericolo fascismo“. E dopo l’articolo del New York Times ora l’obiettivo è la Repubblica. Su Facebook la presidente di Fratelli d’Italia mette infatti alla berlina un articolo a firma di Paolo Berizzi: «Alla convention di FdI Meloni improvvisa una gag sulle accuse di fascismo. Poi snocciola le sue priorità: ‘mamma, merito, mare e marchio‘. È il fattore M. M come Meloni. M come Mussolini». La risposta della leader di Fratelli d’Italia: «La lettera M è fascista, chi ha il cognome che inizia per M si rifà a Mussolini. Oddio, è un casino. E adesso che facciamo con il Ministro Messa o col Presidente Mattarella?».
Nel pezzo di Berizzi si parla anche dei rapporti con Castellino e Fiore e dell’inchiesta di Fanpage sulla lobby nera. I due leader di Forza Nuova (Castellino nel frattempo è uscito) sono stati ricevuti dall’esponente di FdI Ignazio La Russa in Senato per parlare di un appartamento che ospitava una sede del partito e di proprietà della Fondazione Alleanza Nazionale. Intanto in un’intervista rilasciata al Giornale il giornalista Pierluigi Battista, già vicedirettore del Corriere della Sera, difende Meloni:
Come sempre, ad ogni campagna elettorale si agita questa storia in modo pretestuoso. L’hanno fatta l’inchiesta sui saluti romani? Bene. Per mesi nulla, sono ridiventati tutti fascisti improvvisamente in Italia o forse era un’esagerazione? Adesso aspetto le coraggiose inchieste di Fanpage sul consigliere comunale del paesello che ha il busto di Mussolini sulla scrivania, chissà quante ne faranno nei prossimi due mesi. Ma davvero pensano che la Meloni abbia pronte le squadracce con l’olio di ricino e il manganello? Che abbia quello in testa? Io sono orgogliosamente antifascista, ma non si può usare l’antifascismo in modo strumentale, solo quando serve, sennò lo si riduce ad una parodia. Come l’Anpi che fa la pastasciutta antifascista. Sono cose che a me danno molto fastidio perché finiscono per ridicolizzare una cosa estremamente seria come l’antifascismo.
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