La discesa in campo di Michele Santoro: «Fondo il partito che non c’è e mi alleo con Conte»
«Ma quale rossobruno, sono come Ciccio Ingrassia che in Amarcord sale sull’albero e dice “voglio una donna“, anche io vorrei salire e urlare: voglio un partito». Un cinefilo come Michele Santoro non poteva che scegliere una citazione per spiegare nell’intervista rilasciata oggi a Repubblica la sua voglia di fondare un partito. Un partito che non c’è, come la “tv che non c’è” che negli anni Novanta doveva spezzare il monopolio Rai-Mediaset. Anche se nel colloquio con Stefano Cappellini appare anche dubbioso: «Dovrei fondare un partito in una settimana? Io sono sinceramente disponibile con tutte le mie conoscenze e capacità di comunicazione a dare un contributo. Un partito non nasce per decisione di una o poche persone ma per rappresentare le esigenze di un pezzo di società. Di sicuro non mi interessa fare il candidato indipendente senza un progetto che guardi al futuro. Serve il partito che non c’è e che non c’è mai stato».
Un partito chi?
E quindi: «Se il Pd rimuove l’agenda Draghi apre uno scenario, altrimenti se tutti quelli che non condividono l’agenda Draghi si prendono per mano è un fatto positivo. Qualunque cosa succeda il 25 settembre, io dal giorno dopo andrò avanti comunque». Secondo Santoro dopo la fine dell’alleanza con il M5s «il Pd è scoperto a sinistra. Di Calenda ne ha già tanti al suo interno. Se Letta insiste nell’ammucchiata di centrodestra dentro la sinistra, resta lo spazio per un campo alternativo. Se in questo campo ci fosse spazio per una lista per la pace, perché no?».
E chi ci sarebbe nel partito? «Si partirebbe da chi ha partecipato alla serata Pace proibita al teatro Ghione. Spero che Sinistra italiana voglia sedersi al tavolo, ma come non ho visto Letta telefonare a Conte nemmeno ho visto Conte telefonare a Fratojanni e neanche Fratojanni aprire un confronto. Se non ci saremo al voto, non sarà per colpa nostra».
Alla fine ce n’è anche per Draghi, che «se l’è data a gambe. I maligni dicono perché dopo aver perso la corsa al Quirinale non vedeva l’ora di dire ai partiti: sbrigatevela voi. La fiducia in Parlamento l’aveva pure presa». Secondo Santoro il premier «la crisi l’ha provocata prima quando ha consentito a un suo ministro di fare una scissione nel principale partito di maggioranza sostenendo che non ne sapeva nulla. Doveva impedire che avvenisse».
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