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Sirene e spari, tensione tra Serbia e Kosovo. L’uscita di Dukanovic: «La Serbia sarà costretta ad iniziare la denazificazione dei Balcani»

31 Luglio 2022 - 23:49 David Puente
Il leader kosovaro Albin Kurti accusa il presidente serbo Aleksandar Vučić di aver pianificato aggressioni nella regione settentrionale del Kosovo

Aumenta la tensione tra Serbia e Kosovo, alimentata da notizie definite “fake news” da ambo le parti. Nella giornata del 31 luglio, i media di entrambi i Paesi hanno confermato il suono delle sirene nel capoluogo del distretto di Kosovska Mitrovica, accompagnate dal suono delle campane per circa mezz’ora delle chiese serbo ortodosse nella regione settentrionale del Kosovo. Sui social circolano diversi video che testimoniano entrambi gli episodi e secondo alcune testimonianze ci sarebbero stati degli scontri a fuoco. Le forze armate internazionali dell’operazione Kfor stanno monitorando la situazione. Kfor, che può contare su 3.500 militari, è presente in Kosovo dal 1999. La sua presenza è garantita da una risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu con la fine della guerra. Il generale ungherese Ferenc Kajari, comandante della Kfor, ha spiegato in un comunicato di essere pronto a intervenire nel caso in cui «la stabilità venga messa in pericolo».

La situazione sarebbe precipitata a seguito della decisione del governo kosovaro di non riconoscere più i documenti serbi, in particolare le targhe dei veicoli costringendoli quindi alla reimmatricolazione. Come segno di protesta, alcuni manifestanti serbi hanno bloccato con dei mezzi pesanti le strade in direzione delle località di frontiera Jarinja e Brnjak. Secondo il vice comandante Besim Hoti, la loro reazione sarebbe stata scatenata da false notizie. La decisione sulle targhe ora però sarebbe in dubbio. Nella serata del 31 luglio l’agenzia stampa russa Tass ha riferito che il governo del Kosovo avrebbe intenzione di rinviare di un mese il divieto dell’uso di documenti serbi nelle regioni del Nord.

I mezzi dei Carabinieri italiani (fonte).

Il presunto dispiegamento di forze al confine

Secondo le prime voci, circolate in particolare sui social e media, la Serbia avrebbe inviato l’esercito al confine con il Kosovo. Il Ministero della Difesa della Serbia nega che il proprio esercito abbia oltrepassato i confini, rendendolo noto in un comunicato pubblicato sul proprio sito. L’istituzione serba accusa quella di Pristina di diffondere intenzionalmente fake news attraverso account falsi sui social network e siti web, sostenendo che ci sia una sorta di conflitto in corso.

Secondo quanto riportato in serata dall’account Facebook ufficiale della polizia kosovara, sarebbero stati uditi degli spari in alcune località. Gli stessi agenti sarebbero stati coinvolti negli scontri, senza riscontrare feriti. Affermano, inoltre, che i manifestanti avrebbero danneggiato i veicoli di alcuni cittadini albanesi.

L’intervento del Presidente serbo

Durante un recente discorso pubblico, come riportato dal media serbo Danas, il Presidente Aleksandar Vučić accusa il Kosovo di attuare delle imposizioni nei confronti dei residenti serbi del distretto settentrionale senza averne diritto. Il leader di Belgrado ha poi chiesto agli albanesi «di rinsavire» e ai serbi di «non cascarci» [alle provocazioni, ndr] e di non compiere alcun atto che porti al conflitto. Aleksandar Vučić va oltre: «Questa è la mia richiesta, ma lasciatemi dire che non ci sarà alcuna resa. La Serbia vincerà se oseranno perseguitare, maltrattare o uccidere i serbi. Se gli albanesi non vogliono la pace, la Serbia vincerà!». Parole, quelle del Presidente serbo, che hanno dato il via al timore di una situazione simile a quella che portò la Russia a giustificare l’invasione dell’Ucraina in sostegno delle autoproclamate repubbliche del Donbass.

Il timore di un “nuovo Donbass”

Ad alimentare ancora di più i timori di uno scontro armato in stile russo è stato il politico serbo e membro dell’assemblea nazionale Vladimir Dukanovic attraverso un tweet del 31 luglio mattina: «La Serbia sarà costretta ad iniziare la denazificazione dei Balcani». In un intervento successivo, Dukanovic pubblica una preghiera: «Signore, aiuta la nostra gente in Kosovo e Metohija. Le informazioni che arrivano sono terribili». Nel 2014, Dukanovic prese parte in una missione non autorizzata in Ucraina come osservatore internazionale per le elezioni delle autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Lugansk. Un caso che costò al politico serbo il divieto di entrare in Ucraina.

La reazione russa

«Chiediamo a Pristina, agli Stati Uniti e all’Unione europea di sostenerla per fermare le provocazioni e osservare i diritti dei serbi in Kosovo» ha dichiarato Maria Zakharova. Secondo la portavoce del Ministero degli Esteri russo la decisione di imporre delle «regole discriminatorie» come quelle sui documenti e le targhe dei veicoli è «un altro passo volto a cacciare la popolazione serba dal Kosovo». «I leader kosovari sanno che i serbi non rimarranno indifferenti in caso di un attacco diretto alla loro libertà», afferma ancora Zakharova sostenendo che il Kosovo sta «deliberatamente cercando di aggravare la situazione per innescare un’azione di forza».

L’intervento del Presidente kosovaro

Il Presidente del Kosovo, Albin Kurti, ha accusato la Serbia di fomentare gli scontri. Lo ha fatto attraverso un video pubblicato sulla sua pagina Facebook, nel quale spiega che le aggressioni registrate durante il corso della giornata sarebbero state pianificate e incoraggiate dal Presidente serbo Aleksandar Vučić. Secondo quanto dichiarato da Kurti, le forze di sicurezza kosovare starebbero indagando su quanto sta avvenendo nel Nord del Paese e saranno pronte ad «agire in difesa della sovranità e integrità territoriale». Conclude il leader kosovaro: «Le prossime ore, giorni e settimane potranno essere impegnativi e problematici».

La situazione in Kosovo

Il Kosovo ha dichiarato la propria indipendenza dalla Serbia nel 2008, riconosciuta da diversi Paesi tra i quali l’Italia ma non da Belgrado. Nel 2022, Pristina aveva annunciato la domanda per entrare nel Consiglio d’Europa, un’azione criticata dal Presidente serbo Aleksandar Vučić.

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