Cosa succede al confine tra Kosovo e Serbia: i timori di un’escalation e l’ombra della «denazificazione»
Weekend di tensione tra Kosovo e Serbia. L’introduzione di un provvedimento che imporrebbe alla minoranza serba in Kosovo, circa 50 mila persone, di sostituire targhe e documenti serbi con quelli kosovari e a ogni cittadino serbo di presentare una sorta di visto ai controlli di frontiera, ha scatenato numerose proteste nel nord del Paese. Ieri, 31 luglio, centinaia di cittadini di origine serba hanno manifestato il loro dissenso bloccando con i loro mezzi pesanti le strade in direzione di due località di frontiera, Jarinja e Brnjak. Si sarebbero registrati anche una serie di scontri a fuoco con le forze dell’ordine kosovare, ma nessuno sarebbe rimasto ferito. Sempre ieri, su pressione degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, il premier del Kosovo Albin Kurti aveva annunciato di aver posticipato di un mese l’entrata in vigore della nuova legge, prevista per oggi 1° agosto, per dare tempo ai cittadini serbi di procurarsi un documento kosovaro.
Accuse reciproche
Ma, come riportato da Reuters, l’insistenza del blocco stradale e degli scontri a fuoco nella notte e nella mattinata di oggi, hanno spinto il governo a iniziare a chiedere i documenti al più grande valico di frontiera tra i due Paesi, quello di Merdare. «Continueremo finché tutte le barricate non saranno rimosse e non sarà assicurata la libertà di movimento di persone e merci», ha dichiarato il ministro dell’Interno Xhelal Svecla. Si teme ora un’escalation, con i presidenti dei due Paesi che si accusano a vicenda di fomentare la tensione. Albin Kurti, il premier del Kosovo, territorio sotto il protettorato dell’Onu dalla fine della guerra dell’ex Jugoslavia e continuamente rivendicato dalla Serbia, ha parlato di gruppi di serbi fuori legge che hanno aperto il fuoco contro la polizia incoraggiati da Belgrado, accusata di star ammassando l’esercito al confine.
Per tutta risposta, il presidente serbo Alexandar Vucic ha alzato i toni dello scontro, paventando lo scoppio di una guerra: «I serbi del Kosovo non tollereranno altre persecuzioni. Cercheremo la pace, ma lasciatemi dire che non ci arrenderemo. La Serbia non è un Paese che si può sconfiggere facilmente come lo era ai tempi di Milosevic. La Serbia vincerà se oseranno perseguitare, maltrattare o uccidere i servi. Se gli albanesi non vogliono la pace, la Serbia vincerà», ha detto ieri durante una conferenza stampa.
Il timore di un’escalation
La situazione al confine è guardata con apprensione dalla comunità internazionale, presente in Kosovo dal 1999 con un contingente militare sotto il controllo della Nato, le forze della Kfor, ora a presidio del territorio di frontiera. Il loro generale, l’ungherese Ferenc Kajari, ha spiegato in un comunicato di essere pronto a intervenire nel caso in cui «la stabilità venga messa in pericolo». Ad alimentare ulteriormente i timori di uno scontro armato sono i toni adottati dal membro dell’assemblea nazionale serba Vladimir Dukanovic che, in un tweet pubblicato ieri, ha scritto: «La Serbia sarà costretta a iniziare una denazificazione dei Balcani. Vorrei sbagliarmi», ricordando spaventosamente il pretesto che ha portato all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
Lo zampino della Russia
Russia che non ha esitato a intervenire nella questione. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha accusato il Kosovo di utilizzare la nuova legge sui documenti come un primo passo verso l’espulsione della popolazione serba dal Paese. «Chiediamo a Pristina, agli Stati Uniti e all’Unione europea di intervenire per fermare le provocazioni e rispettare i diritti dei serbi nel Kosovo», ha detto, parlando di provvedimenti discriminatori da parte di Pristina. «I serbi non rimarranno indifferenti quando si tratta di un attacco diretto alle loro libertà e si prepareranno a uno scenario militare».
La Serbia, d’altronde, è uno storico alleato della Russia (che, insieme alla Cina, non riconosce l’indipendenza del Kosovo) e l’ha dimostrato anche durante questi mesi di guerra. Oltre a non essersi allineata alle sanzioni occidentali a condanna dell’invasione dell’Ucraina, secondo gli analisti Belgrado è particolarmente ricettiva della visione revisionista e nazionalista della storia di Putin, come lo sono i suoi vicini bosniaci e ungheresi, Milorad Dodik e Viktor Orban. «La Serbia sta cercando di iniziare una guerra d’aggressione. Proprio secondo il metodo Putin. La Serbia è il cavallo di Troia di Putin in Europa», è stato il commento dell’Ucraina, che teme un allargamento del conflitto proprio ai Balcani.
Foto di copertina: REUTERS/Fatos Bytyci