Giorgia Meloni e il blocco navale: perché il piano di FdI per fermare gli sbarchi è irrealizzabile
Il problema degli sbarchi si deve affrontare con il blocco navale. La presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni è tornata a ribadire la sua proposta ieri a Studio Aperto su Italia 1. E delineando i contorni di un piano per fermare i migranti «irregolari» che parta da «una missione europea da concordare con le istituzioni». Per «trattare insieme alla Libia la possibilità che si fermino i barconi in partenza. Con l’apertura di hotspot in Africa. Che dovrebbero invece valutare in loco la validità della richiesta di un richiedente asilo. «Questo è l’unico modo serio di affrontare il tema, bisogna smetterla di considerare due cose molto diverse, i profughi e gli immigrati irregolari, come la stessa cosa. È una falsità che ha costruito la sinistra in questi anni e ci porta nel caos in cui ci troviamo». Il problema è che il piano di Meloni per il blocco navale è irrealizzabile. Vediamo perché.
I problemi politici e i trattati internazionali
Il blocco navale di Giorgia Meloni pone tutta una serie di problemi politici. In primo luogo andrebbe segnalato che attualmente gli accordi con la Libia ci sono. E non funzionano perché nel paese non c’è un governo in grado di controllare tutto il territorio. Quindi bisognerebbe prima risolvere un problema a monte. E per farlo non basta la diplomazia. Né gli incontri con questo o con quello. In secondo luogo c’è un problema politico: perché gli altri paesi Ue dovrebbero collaborare a una missione europea per salvaguardare gli interessi dell’Italia? E perché dovrebbero farlo con una leadership che dell’Ue ha sempre parlato male?
Una volta trovata la risposta a queste domande, bisogna considerare una questione forse ancora più importante. Ovvero che il blocco navale come lo immagina Meloni violerebbe molti dei trattati internazionali che oggi legano l’Italia. A spiegarlo oggi è Marco Zatterin su La Stampa. Che fa sapere come anche da Bruxelles siano convinti che il blocco navale sia inattuabile. In primo luogo perché tecnicamente questo significa negare il diritto d’asilo, garantito a chi scappa da guerre e carestie. Ogni altro comportamento è fuorilegge. FdI ha precisato di volere una missione militare europea in accordo con le autorità libiche. «Non si tratta di respingimenti perché questi avvengono in mare aperto», è la tesi. «Non è così», ribadiscono dall’Europa. Il blocco in mare è sempre e comunque un «pushback coattivo».
La Convenzione di Ginevra
La Convenzione di Ginevra stabilisce che un paese che riceve una richiesta d’asilo è vincolato a prenderla in considerazione. Tecnicamente – e lo abbiamo già visto all’epoca dei porti (non) chiusi di Salvini – se una barca di nazionalità europea incontra in mare un barcone alla deriva o che chiede aiuto, deve salvarlo. È la legge del mare. Portare chi si trova sulla barca nel primo porto sicuro più vicino, valutare la richiesta d’asilo, offrire ospitalità a chi ne ha diritto, rimandare (dopo mesi, a volte anni) nel proprio paese chi nn ce l’ha: questa è la trafila. Non si scappa. Mentre l’idea di impedire ai barconi di partire in primo luogo è l’esatto contrario di un blocco navale. E in secondo luogo dovrebbe essere fatto dalle autorità del posto. Che vanno “convinte”. Come?
Una nave internazionale alle porte del mare libico quindi potrebbe avere lo stesso ruolo che le destre attribuivano fino a qualche tempo fa alle barche delle organizzazioni non governative. Infine, c’è la questione materiale. Ovvero, chi paga? Una missione europea presuppone un finanziamento a bilancio. E qui l’esperienza ci insegna che la questione è piuttosto complicata. «Bisogna essere proprio naif per sperare di trovare un’intesa collegiale a Bruxelles nel quadro della Politica comune di sicurezza e difesa», dice la fonte al quotidiano.
In copertina: locandina di Giorgia Meloni (2019)