Retroscena – Cosa succede ora? Calenda solo o con Renzi? +Europa lo segue o resta col Pd? Letta può riaprire al M5s?
Quelle del nostro titolo sono le domande che tutti i protagonisti e gli osservatori della scena politica si stanno ponendo in queste ore, dopo la rottura (che vi avevamo anticipato stamattina) di Carlo Calenda con il Pd. E allora, cosa può succedere? Andiamo per punti.
1 – La determinazione “d’impulso” di Calenda lo porterebbe alla corsa solitaria, uno contro tutti, là in mezzo, come nella fortunata esperienza del voto per il Campidoglio. Ma ha un doppio problema: politico e di regole. Quello politico è ben noto, si lega a colui che lo scelse prima come ambasciatore all’Unione Europea e poi come ministro dello sviluppo economico. Insomma, Matteo Renzi. Il rapporto tra i due è quel che si sa, lo scontro di due ego non banali (per usare un eufemismo) ha già fatto scintille a più riprese. Ma neanche un perito calligrafo della politica saprebbe distinguere la linea di Azione da quella di Italia Viva. Renzi, cintura nera di discese ardite e risalite, potrebbe essere alla fine disposto, in nome dell’alleanza, al sacrificio supremo: il nome di Calenda nel simbolo elettorale.
Non è solo altruismo; da sola Italia Viva rischia di non raggiungere la soglia di sopravvivenza del 3 per cento, mentre con Azione (che a sua volta deve capire se e quanto si è indebolita nei sondaggi per il sì-anzi-no col Pd) il centro riformista potrebbe puntare molto più in alto. L’accordo con i renziani sarebbe utilitaristicamente prezioso per Calenda, che in caso di distacco da +Europa dovrebbe in fretta e furia raccogliere le firme se si volesse presentare da solo, mentre un’alleanza con Iv annullerebbe il problema. Come arrivare all’aggancio? Ci vorrebbe un pronubo (esclusi per manifesta incompatibilità i due presidenti Rosato e Richetti). Occhio all’esterno più stimato da entrambi, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori.
2 – Emma Bonino e +Europa, come detto, devono decidere se seguire Calenda e Azione o restare alleati di Letta. Stamattina, non per caso, hanno diffuso un comunicato – mentre già infuriavano le voci sul voltafaccia di Calenda – per confermare il giudizio positivo sull’accordo, quasi a dire “sia ben chiaro, noi non cambiamo idea”. Ma ora dovranno valutare bene, e per questo la loro direzione di domani non è scontata nei suoi esiti.
3 – Senza Calenda la composizione della coalizione disegnata da Letta si sposta naturalmente verso sinistra. A questo punto la consultazione interna a Sinistra Italiana non riserverà sorprese, e anche per Luigi Di Maio non ci sarà più alcun impedimento (forse anche per essere candidato al maggioritario).
Ma ora la questione è un’altra: i seggi sicuri o contendibili senza Calenda quanti saranno? E, non solo per sopperire a questo problema non certo secondario, perché non riaprire la porta a un accordo con Giuseppe Conte e il M5s, come chiedono Fratoianni e la stessa sinistra Pd di Orlando, Boccia e Provenzano?
La fedeltà all’agenda Draghi, dicono in molti (anche Franceschini) non è più forte della necessità di evitare una disfatta elettorale. Se si è imbarcato Nicola Fratoianni, che era all’opposizione, perché ostracizzare Conte, che fino a tre settimane fa era in maggioranza? Tempo per l’accordo in extremis c’è, ma resta una questione non solo diplomatica di prima grandezza: che si fa con Di Maio e i suoi? Chi dice agli uni e agli altri che, dopo essersi inviati così tante tonnellate di insulti che nessun termovalorizzatore riuscirebbe mai a smaltirle, si dovrebbero ora rimettere a lottare insieme, e a votarsi reciprocamente all’uninominale?
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